La morte dei maiali del santuario Cuori Liberi è uno squarcio – nel cuore – che mostra il sistema carnista

Quello che è successo il 20 settembre mostra in tutta la sua complessità che cosa significa il sistema carnista

Nel santuario per animali liberati Progetto Cuori Liberi sono stati uccisi 9 maiali sani che erano stati salvati da situazioni di sfruttamento. Sono stati abbattuti perché la legge prevede questa procedura: gli individui che siano stati a contatto con altri animali affetti dalla peste suina africana – una malattia animale la cui storia epidemiologica inizia nel 1957 in Portogallo e per la quale, al momento, non c’è cura o vaccino – devono essere abbattuti. Il motivo è che questa malattia deve essere contenuta (con l’obiettivo di eliminarla dal territorio) per preservare il comparto della produzione suinicola nel nostro paese.

I 9 suini del santuario, che si trova a Sairano in provincia di Pavia, non risultavano compromessi dalla malattia ma erano stati nella stessa struttura con altri animali (una quarantina) che erano ammalati e già deceduti nelle settimane scorse. Il 20 settembre, al mattino, le Forze dell’Ordine e i veterinari dell’ATS Lombardia (Agenzia di Tutela della Salute) sono arrivati al Santuario e, dopo aver forzato il presidio organizzato dai volontari – un presidio di resistenza passiva – sono entrati nella struttura e hanno proceduto a uccidere gli animali per poi gettarne i corpi con una ruspa all’interno di contenitori per rifiuti speciali. Le immagini mostrate dal Santuario e dagli attivisti attraverso i social mostrano momenti di grande concitazione nel momento dell’ingresso della Polizia (che era, inevitabilmente, in tenuta anti sommossa essendoci un presidio fisico): si sono visti alcuni poliziotti utilizzare i manganelli e un video in particolare mostra un gesto che sembrerebbe un pugno sferrato da un poliziotto ai danni di un attivista in tutta bianca che era fermo sul posto. I volontari hanno anche spiegato che alcun strutture del Santuario sono state distrutte e dovranno essere ricostruite.

Che cosa ci insegna questa vicenda?

La riflessione necessaria in questo frangente da parte di un giornale come il nostro che si occupa di questioni legate alla cultura vegan e antispecista è complessa e l’abbiamo anche anticipata nella nostra newsletter settimanale. Esistono due piani di analisi su quello che è accaduto e noi ci sentiamo in doverli di esporre entrambi perché è il nostro ruolo di giornalisti che ce lo impone.

Da una parte c’è la legge: la peste suina africana è un enorme problema sul territorio italiano perché è una malattia che – se fino ad ora non ha mai mostrato la possibilità di fare il famoso “salto di specie” passando all’uomo – è invece rapidissima nel diffondersi fra gli animali e ha un tasso di mortalità altissimo. I vettori che possono diffonderla sono molti, il virus, per esempio, rimane attivo per settimane anche nella carne congelata degli animali, basta il contatto delle suole delle scarpe o di un tessuto con un animale infetto o con del terreno contaminato per poter “trasportare” altrove la malattia. La legislazione italiana è intervenuta creando un protocollo d’intervento molto rigido per un motivo solo: tutelare il comparto produttivo suinicolo italiano che ha un valore economico sostanziale. Gli ultimi dati raccontano che “il 6% della produzione dell’agricoltura italiana è generato dalle aziende zootecniche che allevano suini destinati alla produzione di carne fresca e di salumi (per un valore complessivo di circa 2,5 miliardi di euro); mentre l’industria di seconda trasformazione e lavorazione delle carni suine produce il 6% del fatturato totale dell’industria agroalimentare, pari a oltre 7,5 miliardi di euro (Ismea, 2010)”. Se è vero che gli animali di Sairano – Crosta, Freedom, Crusca, Pumba, Dorothy, Mercoledì, Bartolomeo, Ursula, Carolina e Spino – erano all’interno di un Santuario, la procedura per legge non cambia. L’abbattimento è previsto, in alcuni casi particolari come la comprovata pericolosità per l’uomo, anche per animali che vengono definiti “domestici” come i cani. Questi suini potevano rimanere nella struttura ed essere accuditi nonostante la possibilità che fossero stati contagiati dalla PSA? Le norme di bio sicurezza potevano essere seguite alla perfezione in una struttura come quella del santuario? Non c’è una risposta e, ad oggi, non è più nemmeno necessaria.

Esiste però un altro lato di questa vicenda, che è quello della violenza che coinvolge animali inconsapevoli che, nonostante siano stati salvati da un sistema economico malato, si sono ritrovati a farne in ogni caso le spese. C’è il lato degli attivisti, di chi curava questi maiali e il cui dolore non è immaginabile ma solo ipotizzabile da chi sa bene cosa significa amare gli animali, tutti, indipendentemente dalla loro specie, a maggior ragione se li si accudisce. Di questi attivisti, in sostanza, era la responsabilità morale della sicurezza e del benessere di chi avevano salvato. Questi maiali sono stati uccisi perché il sistema della produzione della carne è un gigante di cui non vediamo nemmeno il volto, non solo nel nostro Paese; è una concezione radicata, una realtà che anche chi è vegano e antispecista non può non riconoscere. Battersi affinché le cose cambino è doveroso, necessario, e lo si può fare in modi diversi, tutti ugualmente validi (diventando vegani, facendo attivismo in piazza, donando alle associazioni, partecipando alla vita dei Santuari, etc.) ma è difficile, lo è sempre stato e lo sarà ancora per tanto tempo perché i numeri ci remano contro, perché la “sensibilità” e la linee dell’attuale Governo Meloni sono profondamente legate alle istanze del comparto agricolo e, in particolar modo, a quello degli allevatori (si veda, come esempio, la strenua guerra senza nemico che viene fatta contro la carne sintetica).

La vicenda dolorosa e terribile che ha visto protagonisti i ragazzi del Progetto Cuori Liberi è uno squarcio che ci mostra quanto è radicato e invasivo il sistema produttivo carnista. Quello che resta da fare ora è non abbassare la guardia, ma soprattutto continuare a fare cultura sulle alternative alla carne e ai suoi derivati, fare cultura sull’antispecismo, distruggere, briciola dopo briciola, i pregiudizi giganteschi sul mondo del veganesimo e dell’attivismo ad esso legato. Bisogna denunciare le violenze subite – se così è stato – da parte delle Forze dell’Ordine, bisogna continuare a raccontare, facendolo nel modo corretto, senza sbavature, senza errori (perché no, Joaquin Phoenix non ha mai sostenuto la campagna a favore di Cuori Liberi, ma quello riportato anche dalla stampa generalista sono le parole espresse da un profilo privato di una o un attivista vegan, come è chiaramente scritto) e senza dimenticare che è difficile in un Paese in cui solo il 2% della popolazione si considera vegano far passare l’idea che anche la vita di un singolo maiale o di un singolo pollo hanno un valore enorme. È difficile ma non dobbiamo smettere anche per ricordare questi animali, questi amici, che si sono trovati stretti nella morsa di un sistema che dobbiamo, lentamente, smantellare.

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