Greta Thunberg e i suoi, i nostri, i loro “bla bla bla”

Il tema della parole vuote nasconde qualcosa di ben più grave: il sistema non cambia fino a che non ci sarà il coraggio di mettere mano anche alle proprie abitudini di tutti i giorni.

“Vogliamo ascoltare le vostre priorità”. Il ministro per la transizione ecologia Roberto Cingolani ha accolto con queste parole i 400 giovani dai 18 ai 29 anni che si sono riuniti a Milano per l’incontro Youth4Climate che durerà tre giorni, fino a domani 30 settembre 2021. Fra loro c’è anche l’attivista Greta Thunberg che ha esordito con un’altra frase iconica – come fu “Voglio che agiate” oppure “Voglio che andiate nel panico”: “Mi aspetto molte chiacchiere da questi incontri – ha detto – come al solito”.  La dose è stata rincarata anche all’interno del meeting: “Non ci possono più essere – ha detto l’attivista svedese – i bla bla bla, servono le azioni concrete”.

Eppure il Ministro Cingolani in un fuori onda pubblicato da Repubblica chiacchiera con un suo collaboratore sull’assenza di visione pratica dei 400 delegati dei 198 paesi, i giovani che lamentano l’inattività politica. In chiaro, durante una riunione Cingolani dice: “Spero che oltre a protestare, cosa che è estremamente utile, ci aiuterete a identificare nuove soluzioni con una visione, è questo quello che ci aspettiamo da voi”. Un piano, insomma, delle idee concrete.

Sono passati 4 anni dal primo sciopero della Thunberg, ormai diciottenne, davanti al parlamento svedese, ma è chiaro che le cose non sono cambiate: non la visione, non gli obiettivi, non il sistema, perché la crescita infinita, il modello ingigantito dopo la pandemia del “torniamo alla normalità” ha il piede sull’acceleratore del PIL per cercare di recuperare il tempo perso; rimane, invece, l’assenza praticamente totale di riferimenti da parte di tutti ai sacrifici enormi e alla necessità di cambiare le nostre abitudini, che sottenderebbe una vera rivoluzione ecologica; rimangono le lettere del movimento Fridays in cui si sostiene “Noi non siamo politici ma voi sì, fate, agite perché state uccidendo il nostro futuro”, rimane l’enorme difficoltà nel trovare un riferimento al tema del sistema alimentare a base di proteine e derivati animali non solo nelle loro lettere pubbliche, ma anche sui social, sui siti e nei discorsi dei ragazzi che fanno parte del movimento. Eppure quella mossa, replicata per centinaia di migliaia di ragazzi che, a loro volta, potrebbero influenzare le proprie famiglie, i propri amici, sembra mancare, non è uno dei punti. È un peccato enorme perché sui politici si può perdere la speranza, ma su migliaia di ragazzi così pieni di giusta rabbia, no.

Ci sono le chiacchiere in politica, è inevitabile, i politici sono uomini e donne che vivono la contingenza, le pressioni economiche, le corruzioni che sono parte del sistema che premia chi governa con stipendi così alti che è praticamente impossibile non “entrare nel giro”. Come si cambia il sistema se non si cambia prima proprio la visione e l’educazione delle nuove generazioni? Come è possibile che, per esempio, nonostante il movimento Fridays così forte,  andare a parlare di alimentazione nelle scuole di qualsiasi ordine e grado- e vi assicuriamo che parliamo per cognizione di causa – sia ancora praticamente impossibile nel momento in cui si cita una scaletta nella quale si toccherà il tema degli allevamenti intensivi, o semplicemente che cosa è la scelta vegana e come sia possibile seguirla?

Nonostante i dati sotto gli occhi di tutti, da quelli di Oxford all’IPCC, l’alimentazione, che è il secondo punto dopo la decarbonizzazione verso il miglioramento delle condizioni del clima, un passo che può essere messo in atto subito al di là delle proteste in piazza  – necessarie e preziose, sia ben chiaro – non viene citata, promossa, valutata, resa fondamentale anche in occasioni pubbliche così gigantesche come quella che si sta svolgendo a Milano.

Perché, banalmente, anche la generazione dei Fridays ha paura di dire la parola “vegan” come moltissimi altri, temendo di essere marginalizzati, derisi o presi poco seriamente? In una conversazione telefonica di qualche anno fa con un ragazzo portavoce del movimento, la risposta fu: “È un argomento difficile, che divide, ma cercheremo di parlarne”.  Vent’anni e la paura di essere “politicamente” troppo avventati, di scaldare gli animi.

Le chiacchiere, quindi, ci sono, eccome, dovrebbero sparire da entrambi i lati come abbiamo fatto tutti noi lo scorso anno, rinchiudendoci in casa e dimostrandoci da soli le conseguenze positive sull’aria e sugli ecosistemi della nostra assenza. Eppure si grida al ritorno alla normalità, una normalità che prevede di nuovo menu scolastici pieni di carne, carrelli ripieni di uova ecologiche e carne allevata nel pieno rispetto della natura – con una legislazione sulle etichettature che farebbe venire i brividi a chiunque – spostamenti forsennati con le auto, continuo uso di decine di prodotti in plastica che potrebbero essere sostituiti adesso con alternative diverse. La politica è potere e il potere sta nei soldi, in chi ne ha, in chi finanzia. I soldi girano perché  le persone comprano, consumano, scelgono. Abbiamo fatto tante volte l’esempio dell’olio di palma: i consumatori decisero che non era più tempo, smisero di comprare prodotti che li contenessero, le aziende si adeguarono. Se ne parlò tanto, tantissimo, la pressione su chi produceva fu enorme.
Le aziende, la politica vogliono “fatturare” e se chi apre il portafoglio non è più disposto a sostenere quell’economia, l’economia, lentamente, cambia.

Basta chiacchiere quindi, ma non solo da parte della politica: smettiamola tutti oppure arrendiamoci al fatto che le cose non cambieranno affatto, perché è la nostra specie a non saper cambiare.

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