WWF: “Bushmeat, nuova piaga per l’ambiente”
Un fenomeno illegale che spesso rimane in secondo piano ma che assicura guadagni milionari a chi lo gestisce. Parliamo del bushmeat, ossia l’uccisione di animali selvaggi con scopi alimentari. Per avere un quadro completo di questi casi Vegolosi.it ha intervistato Isabella Pratesi, Direttore Conservazione Internazionale WWF Italia. Il bushmeat avviene tipicamente in alcune comunità che vivono all’interno di foreste africane – gli animali che le popolano sono spesso l’unica sorgente di proteine per le popolazioni locali – ma il traffico di “carne di foresta” (questa la traduzione letterale di “bushmeat”) oltrepassa frequentemente i confini del Continente africano, diventando un vero e proprio caso internazionale. Non sono rari i sequestri di carne anche in Europa o negli Stati Uniti: viene esportata per raggiungere i membri delle comunità africane che vivono lontano da casa, che continuano a considerare questa carne come un piatto tipico. Parliamo di carne di gorilla, scimmie, scimpanzè, elefanti, pangolini: tutti animali che rischiano seriamente di estinguersi nel giro di pochi anni qualora il fenomeno del bush meat non dovesse essere frenato.
“È difficile fare una stima del valore economico di questo traffico – dice la Pratesi – sappiamo che spesso questo è un mercato nascosto e che ci sono migliaia di tonnellate di carne di questi animali che ogni anno escono dalle foreste tropicali e raggiungono i porti in giro per il mondo. WWF – spiega ancora – ha quantificato che il commercio internazionale illegale di fauna selvatica, in cui rientra anche il bush meat, può portare nelle casse di chi lo gestisce fino a 32 miliardi di dollari. Ovviamente in questo mercato si arricchiscono reti criminali internazionali”.
Come si combatte questa battaglia? A due livelli: spiegando ai membri delle comunità che la carne non è necessaria per garantire l’apporto proteico, fornendo loro suggerimenti su come arricchire in altro modo la propria alimentazione; e insegnando loro l’importanza di queste specie che rischiano seriamente l’estinzione. Ma l’attività del WWF avviene anche nei porti d’approdo di questa carne, con monitoraggio di questo traffico traffico ed eventualmente denunce: “Abbiamo un forte lavoro di intelligence che ci aiuta a individuare quali sono le reti criminali – dice la dirigente dell’associazione – e in collaborazione con l’Interpol cerchiamo di capire quali sono i responsabili di questo commercio per fare in modo che vengano assicurati alla giustizia”.
Ma si lavora anche per sollecitare i governi occidentali a mettere in pratica le leggi, “che esistono” – dice – ma spesso non vengono applicate perché il livello di corruzione è ancora molto alto. In Italia, ad esempio, “la normativa è molto stringente per la difesa della fauna selvatica, sebbene ci siano alcune specie cacciabili perché il nostro paese ancora tollera la caccia”: questa spesso viene operata “al limite della legalità”, prosegue la Pratesi, e del bracconaggio, le cui pene sono spesso ridicole “visto che potrebbe costare di più parcheggiare un’auto in seconda fila anziché uccidere un orso”.
Intervista di Domenico D’Alessandro
Foto credits: https://www.flickr.com/photos/cifor/sets/72157629717819020