La “rivoluzione vegana” tocca molti aspetti della nostra quotidianità e tra questi c’è senza dubbio l’abbigliamento: sono tanti i tentativi di creare tessuti e accessori “cruelty free” e dopo Muskin, il tessuto che viene dai funghi, quello tratto dalle albicocche e il Piñatex, un tessuto ricavato dalle foglie di ananas, ora è la volta di WineLeather, il tessuto 100% vegetale ricavato dalle vinacce, le bucce dell’uva ottenute dalla produzione del vino. L’idea questa volta è tutta italiana: nasce infatti dall’intuito di alcuni ricercatori del Politecnico di Milano, creatori di una start up che ha già ricevuto numerosi riconoscimenti ed è risultata tra le finaliste della Global Social Venture Competition, “concorso internazionale per la nascita e lo sviluppo di nuove imprese a forte rilevanza sociale e/o ambientale“.
Perché le vinacce?
Ogni anno vengono prodotti circa 13 milioni di tonnellate di vinaccia, dalla quale si possono ottenere 5 miliardi di metri quadrati di tessuto di vino, che richiama quella animale per aspetto e resa, ma del tutto cruelty-free. Questo impiego, inoltre, eviterebbe che la vinaccia diventi un ulteriore rifiuto da smaltire che, finendo sui terreni, inquini le falde acquifere. “Attraverso WineLeather – affermano gli ideatori – è possibile valorizzare il 100 % della vinaccia prodotta nel mondo e proporre nel mercato un’alternativa green e cruelty-free che possa assecondare le sempre maggiori richieste vegane dei consumatori, attualmente non soddisfatte”. La produzione di WineLeather, in più, è a basso costo e ciò la rende competitiva rispetto alla pelle sintetica e animale. I primi paesi in cui verrà commercializzato il nuovo prodotto saranno Europa del nord, Stati uniti e Giappone, perché più ricettivi verso prodotti ecosostenibili.
Non solo tessuto
La vinaccia pare essere un portento della natura, utilizzabile dall’uomo per molte idee “green”: questo scarto di lavorazione potrebbe essere utile per la produzione di carburante ecologico, ma anche come mangime per l’alimentazione animale e come fertilizzante ecologico. Insomma, una materia prima interessante alla quale, con un po’ di ingegno, è possibile donare tante “seconde vite” a basso impatto ambientale.