Si chiamava Vita ed era il simbolo della lotta alla vivisezione in Italia e non solo: un cucciolo di beagle immortalato in una foto che ha fatto per anni il giro del web e del mondo, mentre veniva liberato da Green Hill, l’allevamento-lager di Montichiari in provincia di Brescia, dove i cagnolini venivano fatti nascere per poi essere venduti in tutta Europa e sottoposti a vivisezione. Decine di mani a sollevarla creando un ponte verso la libertà, in quella mattina del 28 aprile 2012 che ha segnato un punto di svolta rispetto a un tema così controverso, sentito e al tempo stesso delicato.
Vita, dopo 7 anni insieme alla famiglia piemontese che l’ha accolta quando aveva pochi mesi, è morta lo scorso 5 marzo a causa di una malattia incurabile: “Si tratta del secondo esemplare di quelli liberati che si sono ammalati e sono morti di tumore o epilessia“, ha raccontato ai media Silvia Premoli di Animal Press, ufficio stampa che si occupa di vegan e animali.
Green Hill dopo Green Hill: dalla prigionia alla libertà
Sono 2639 i beagle liberati dagli attivisti, poi sequestrati e affidati in custodia giudiziaria a LAV e Legambiente dal Tribunale di Brescia. Molti di loro erano mamme gravide e cuccioli giovanissimi, affidati a numerose famiglie che li hanno adottati e salvati da morte certa. Dopo cinque anni dalla condanna definitiva per i gestori della struttura, che fu poi chiusa per maltrattamenti nello stesso 2012, due anni fa la redazione di Vegolosi.it aveva raggiunto e intervistato cinque delle famiglie che hanno scelto di adottare i cagnolini di Green Hill, per scoprirne la storia, le disavventure e, finalmente, il lieto fine.
Cani diversi, ma accomunati tutti dallo stesso passato difficile e da un futuro decisamente più roseo, ma comunque non privo di difficoltà: dai racconti delle famiglie adottanti emergeva infatti la soddisfazione di averli salvati, ma anche la difficoltà di avere a che fare con cagnolini spaventati, talvolta già ammalati per via degli esperimenti compiuti su di loro e assolutamente non abituati al normale contatto col mondo esterno – e, di conseguenza, incapaci di gestirlo e affrontarlo – perché nati e cresciuti in gabbie asettiche e vuote.
La battaglia contro contro Green Hill, in ogni caso, ha portato al raggiungimento di un traguardo importante per la lotta contro la vivisezione: come ricorda LAV, infatti, dopo il sequestro dei cani si è arrivati anche alla condanna dei vertici di Green Hill, in tutti e 3 i gradi di giudizio, per maltrattamenti e uccisioni senza necessità: un anno e sei mesi a Renzo Graziosi – veterinario della struttura all’epoca dei fatti – e Ghislene Rondot, cogestore di Green Hill, e a un anno per l’allora direttore dell’allevamento Roberto Bravi. “Condanne storiche – dichiara l’associazione – che hanno affermato un principio giuridico innovativo: non esistono zone franche neppure in un ambito produttivo come l’allevamento di cani per la sperimentazione, le necessità etologiche degli animali devono essere rispettate anche se destinati alla vivisezione”.
Nonostante questo traguardo e anzi, forse proprio per questo, un pensiero non può che andare a Vita e alla sua storia: adottata dalla signora Elena Mancin quando aveva circa due mesi, ha vissuto per 7 anni tra coccole e affetto. “Dopo i primi 2-3 anni, ha iniziato a manifestare alcune crisi epilettiche, curate con dei farmaci, probabilmente legate ai maltrattamenti ricevuti all’interno della struttura, come è emerso da diverse denunce” – ha dichiarato la proprietaria. Che aggiunge: “Non potevamo che scegliere il nome Vita, perché le è stata regalata una seconda possibilità. La sua vita è iniziata fuori da quella rete, alla luce del sole. Vita ha cambiato le giornate di molte persone. Affronto questo dolore pensando che abbiamo salvato qualcuno, non qualcosa, che aveva bisogno di protezione e che non l’avrebbe mai avuta, altrimenti”.
Anche se la strada è ancora lunga, LAV ricorda intanto i piccoli traguardi finora raggiunti sul piano della lotta alla vivisezione in Italia: “Per legge, dal 29 marzo 2014 è in vigore in Italia il Decreto Legislativo n. 26/2014 sulla sperimentazione animale che ha introdotto importanti divieti come allevare cani, gatti e primati da laboratorio. Quindi le fabbriche di cuccioli come “Green Hill” non sono più legali nel nostro Paese” chiosa l’associazione.