Partiamo da un presupposto: le divisioni fra i vegani buoni e gli onnivori cattivi mi hanno sempre fatto venire le bolle da orticaria nervosa. Quando è nato Vegolosi.it, 5 anni fa, la prima cosa che abbiamo segnalato attraverso il nostro “spot” era che il nostro sarebbe stato un magazine “inclusivo e non esclusivo”. Il mito del vegano che cammina a 10 metri da terra sostenendo di salvare il mondo con fare hippy è esattamente quello che a me, personalmente, aveva sempre dato un po’ fastidio.
Sta girando parecchio un articolo il cui titolo ha dentro questa parola amatissima da chi commenta senza leggere: “vegano”. Pare che inserirlo negli articoli abbia un gusto insuperabile, se non altro perché permette di ottenere con certezza due cose: far incazzare moltissimo chi vegano lo è, e fornire un grimaldello a forma di post da condividere a chi i vegani proprio non li tollera, una sorta di “Ecco, tiè, prenditi questo” preconfezionato. Detto questo, qual è il sunto del pezzo? Che i vegani non sono etici, o meglio non possono innalzarsi al di sopra dell’asticella del “bene pubblico” perché le coltivazioni di quinoa, di avocado, di anacardi e soia stanno rovinando il mondo. I vegani ottengono solo un paradosso: mentre chi coltiva quinoa mangia i burger delle multinazionali, gli eccezionali paladini del bene (sì, i vegani) mangiano burger di quinoa ogni ora. Una domanda: come mai, Matteo, un burger di carne costa 1 euro e i poveri mangiano quello? Ti consiglio, intanto, un libro, se vogliamo parlare di lavoratori sfruttati, si chiama “Fast Food Nation“, e te ne consiglio anche un altro, “La giungla” di Sinclair (è del 1906).
Si parte da un presupposto errato, ossia che chi decide di scegliere un’alimentazione a base vegetale indossi lo scudo del salvatore del mondo, la corazza del cavaliere dello zodiaco del bene e giudichi gli altri dall’alto della sua illuminazione: ecco, se avete incontrato vegani così, a me dispiace molto. Si sceglie di diventare, essere vegani per motivi molto disparati, ma certamente non per ergersi moralmente al di sopra degli altri, o per poter andare alle cene con amici e parenti sbandierando un “Beh ma io sono davvero buonissimo e tu no, pappappero“. La maggior parte delle volte è una scelta che prevede uno sforzo (a volte colossale) per cercare di fare la scelta che riteniamo meno sbagliata e alla base c’è sempre la consapevolezza che per vivere bisogna mangiare, quindi consumare, che è un’attività per nulla facile, anzi. L’autoproduzione non è una soluzione a portata di mano nell’immediato: l’orto, il chilometro zero, il contadino che conosco solo io e che, wow, sapessi che cavolo verza che mi vende, non sono adatti come soluzione globale ad un problema globale e che più urgente non lo si può immaginare.
Che i vegani la smettano di pensare (se lo fanno) di essere i salvatori del pianeta e di essere “meglio di”, perché la maggior parte di noi per un periodo della sua vita ha mangiato carne e formaggi, e che chi invece mangia in modo onnivoro inizi a informarsi e a porsi una domanda vera: come mai non voglio vedere le immagini riprese nei macelli? Chi mangia a base vegetale potrà smettere si mangiare la quinoa, la soia, gli anacardi e pure le mandorle, così come piano piano, anche grazie all’informazione ci si è allontanati dall’olio di palma, per esempio. Gli “onnivori”invece che cosa faranno? Ogni viaggio inizia con un solo passo, no? Allora iniziamo a farlo, invece di trovare che cosa non va nell’impronta lasciata da chi, il cammino lo ha già iniziato, con tutte le sue imperfezioni, errori e “caciottine” di soia.