I punti della legge
Dopo aver chiarito i termini “vegetariano” e “vegano” (cosa non così scontata) il testo della legge si divide in 8 articoli nei quali si chiede la “tutela delle scelte alimentari vegetariana e vegana e il diritto dei cittadini e delle cittadine che le adottano ad un’alimentazione in linea con i propri principi etici”. Come dovrebbe avvenire questa tutela? Leggiamo sempre dal testo di legge: “In tutte le mense pubbliche, convenzionate e private, o che svolgono in qualsiasi modo servizio pubblico, nelle mense che svolgono servizio per le scuole di qualsiasi ordine e grado, compresi gli asili nido, nelle mense universitarie e nei luoghi in cui i lavoratori siano costretti a nutrirsi per l’impossibilità di fare rientro per il pranzo al proprio domicilio quali bar e ristoranti convenzionati con i luoghi di lavoro, devono essere sempre offerti e pubblicizzati almeno un menù vegetariano e uno vegano”.
Ovviamente i menù di cui si parla non potranno essere solamente finto-vegetariani o finto-vegani (par capirci, non basterà per i ristoratori avere un’insalata o un primo con le verdure), ma “dovranno essere strutturati – si legge sempre nel testi – in modo da assicurare un apporto bilanciato di tutti i nutrienti, così come indicato dalla scienza ufficiale”. Il testo presentato dalla Cirinnà è chiaro anche sulla necessità di formazione per gli operatori del settore: “Il personale preposto alla somministrazione deve essere adeguatamente informato ai sensi della presente legge”. Inoltre, piccola precisazione, le uova utilizzate nei menù vegetariani dovranno “provenire da galline allevate con metodo biologico o comunque allevate all’aperto”
Le polemiche
La proposta di legge parla anche di campagne informative e di finanziamenti riguardanti l’alimentazione vegetariana e vegana. Un testo certamente complesso che non lascia nulla al caso. Ovviamente le polemiche sono già partite: alcuni quotidiani hanno etichettato come “assurda” l’idea di questa proposta. Intanto nel testo si parla anche di provvediementi e multe molto salate: da 3.000 a 18.000 euro per chi “sgarra”, nonché la “sospensione della licenza di esercizio per la durata di trenta giorni lavorativi”.