Presto i nostri mobili potrebbero essere coltivati direttamente in laboratorio e potremmo poter dire addio a brugole e bulloni, grazie alla produzione di legno in vitro. Non è ancora realtà, ma è l’obiettivo di una recente ricerca di un’equipe del Massachusetts Institute of Technology (MIT): il paper con i risultati della ricerca è stato pubblicato sul Journal of Cleaner Production (una rivista scientifica del settore), e porta la firma di Ashley Beckwith, dottoranda in ingegneria meccanica, Luis Fernando Velásquez-García, scienziato del MIT, e Jeffrey Borenstein, ingegnere biomedico.
Di cosa si tratta?
I ricercatori hanno sviluppato una tecnica che permette di coltivare fibre e tessuti legnosi a partire da alcune cellule estratte da Zinnia elegans, una pianta ornamentale originaria del Messico.
L’idea è nata dopo una visita di Beckwith a un’azienda agricola, dove ha potuto constatare quanti e quali processi, oltre a quelli indipendenti dalla volontà degli agricoltori, potevano essere resi più efficienti. Terreno e risorse, infatti, non erano utilizzati in modo efficace, anche a discapito della biodiversità; inoltre non tutto il prodotto che risultava dalla coltivazione veniva effettivamente impiegato come cibo o per la produzione di materiali.
Da queste considerazioni, il team ha sviluppato il processo: grazie a due ormoni vegetali della crescita, auxina e citochinina, le cellule sintetizzate si sviluppano in un gel che permette la gestione delle sostanze per controllare la produzione di lignina, e quindi far sì che la struttura finale sia legnosa. Non solo: al contrario di alcune tecniche precedentemente studiate dallo scienziato Velásquez-García questo sistema consente di gestire agevolmente la forma in cui le cellule si svilupperanno, garantendone una manipolazione ottimale a seconda degli utilizzi.
Un futuro senza deforestazione
Questo metodo ha permesso agli scienziati di stimolare la crescita dei vegetali in condizioni “atipiche”: non in un campo, un orto o in serra, ma al chiuso, senza l’uso di fonti luminose o di terreno. La sfida, però, è individuare le giuste combinazioni di ormoni e substrati per produrre altre specie vegetali oltre alla zinnia. La tecnica è quindi ancora ben lontana dall’essere collaudata e pronta per essere lanciata sul mercato. David Stern, biologo esterno alla ricerca, spiega a MIT News che ci vogliono ancora parecchi investimenti, sia economici che “intellettuali”. Al momento, quindi, l’agricoltura è ancora l’opzione più conveniente, perché non richiede l’energia elettrica dei laboratori di ricerca anche se l’impatto ecologico è chiaramente rilevante.
Una volta implementati e migliorati è indubbio che questi processi potrebbero essere la chiave contro l’agricoltura estensiva e la deforestazione: gli attuali sistemi di produzione di materiali in legno comportano una domanda insostenibile. Solo tra il 1990 e il 2016 le foreste hanno subìto una perdita di superficie alberata pari a due volte l’estensione della Francia, con gravissime conseguenze sulla biodiversità umana e faunistica dei territori interessati.
Non ci resta dunque che aspettare. “L’idea”, racconta infatti Velásquez-García, “è quella di riuscire ad alterare non solo le proprietà del materiale ma la forma del prodotto finito“.