Una strada molto difficile da percorrere, visto che l’ultimo tentativo di tassare le bibite gassate giganti proposta dall’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, è naufragata miseramente, tra le proteste delle multinazionali e il naso arricciato di migliaia di newyorchesi che non vogliono rinunciare al loro secchiello di zucchero e bollicine.
Ma il rapporto del gruppo di scienziati parte da una tesi sostenuta sia dal gruppo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite che dall’economista Nicholas Stern: diminuire il consumo di proteine animali farebbe bene al pianeta aiutando a combattere il riscaldamento globale. Da qui la proposta della nuova tassa. Nel mondo ci sono 3,6 miliardi di ruminanti, soprattutto pecore, capre e bovini: il 50% in più rispetto a mezzo secolo fa. Il metano prodotto dal loro processo digestivo rappresenta la prima fonte di gas serra messa nell’atmosfera dall’uomo. Facendo riferimento a dati Onu, queste emissioni rappresentano il 14,5% di quelle liberate nell’aria a causa delle attività umane e potrebbero essere ridotte di un terzo migliorando le pratiche di allevamento.
“Tagliare le sole emissioni di anidride carbonica non basta. Bisogna agire sugli altri gas serra e su quelli prodotti dalla digestione animale”, ha detto William Ripple, autore dello studio e professore alla Oregon State University. La stessa tesi sostenuta durante l’incontro di Varsavia, Polonia, tra i principali Paesi membri delle Nazioni Unite per discutere di riscaldamento globale.
Ma le multinazionali della carne non ci stanno. “Credere che introdurre una tassa possa diminuire le emissioni è semplicistico e di impatto negativo. La cosa invece farà solo aumentare i prezzi per i consumatori“, ha detto Nick Allen, responsabile di forEblex, l’organizzazione che riunisce i produttori di manzo e pecora in Inghilterra.
Ragionando per assurdo si potrebbe paragonare questa tassa a quella sui pacchetti di sigarette. A New York – grazie a una campagna iniziata un decennio fa – il numero di fumatori tra gli adulti è passato dal 21,5% al 14,8%. Oltre alle pubblicità e al materiale distribuito, da queste parti alcuni dicono che tanto abbia fatto l’aumento del costo: in media 12 dollari a pacchetto. Difficile che la stessa cosa possa funzionare nella terra dei barbecue e degli hamburger dove il consumo pro capite annuo è di 38 chilogrammi (in Italia sono poco più di 5).
da New York – Angelo Paura