L’etichetta intelligente che mostra l’impatto sul clima dei prodotti che si acquistano: è l’idea di un’azienda alimentare svedese, Felix, che il 1° ottobre scorso ha aperto a Stoccolma un negozio temporaneo, The Climate Store, in cui i prodotti in vendita sono stati classificati in base alle emissioni di carbonio derivate dalla loro produzione.
L’apertura del negozio temporaneo aveva come obiettivo sensibilizzare quante più persone possibili sul tema dell’inquinamento legato alla produzione alimentare: il prezzo di ogni articolo era direttamente proporzionale alla sua impronta di carbonio, il cliente pagava, quindi, un prezzo più alto più l’articolo era inquinante.
Come funzionava? Ai clienti veniva assegnato un budget da utilizzare per fare la spesa. Il prezzo del cibo non era espresso in corone svedesi, bensì con l’equivalente in chilogrammi di anidride carbonica emessa (“CO2e”). Il consumatore in questo modo è stato guidato ad acquistare in modo più ecologico.
Una scala climatica per comprendere quanto inquina il cibo
Nonostante The Climate Store sia stato un’iniziativa di breve durata, Felix ha mantenuto il suo impegno per limitare l’impatto ambientale dei suoi prodotti. L’azienda ha dichiarato che “tenere conto dell’impatto sul clima è una parte importante del nostro lavoro di sostenibilità e permea tutto ciò che facciamo. Felix ha la responsabilità di far comprendere maggiormente ai suoi clienti quanto la produzione del cibo influisca sul clima”.
Infatti, sul sito ufficiale dell’azienda nella scheda di ogni prodotto in vendita viene tutt’ora segnalata la quantità di emissioni correlate. Ogni prodotto ha la propria etichetta che indica l’impronta climatica: i calcoli coprono l’intero processo produttivo, dalla produzione di materie prime, al confezionamento. Solo i prodotti le cui emissioni rappresentano meno della metà delle emissioni medie degli alimenti prodotti in Svezia, riportano il simbolo “Low Climate Imprint”.
I prodotti dell’azienda svedese che hanno una “bassa impronta climatica” sono in linea con l’obiettivo stabilito dall’Accordo di Parigi delle Nazioni Unite, in base al quale è necessario dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 per evitare di superare 1,5 gradi di riscaldamento globale. Per raggiungere tale obiettivo, si legge dal sito, “ogni persona ha un budget settimanale di 19 kg di equivalenti di anidride carbonica con cui fare la spesa”: il consumatore non deve superare tale cifra se vuole dimezzare il suo impatto sul clima.
Il responsabile marketing di Felix, Thomas Sjöberg, ha spiegato anche la presenza accanto ad ogni scheda prodotto di un scala climatica che aiuta ulteriormente i clienti a comprendere quale è l’impatto del loro acquisto. Per esempio, se un cliente decide di comprare un succo di frutta la cui impronta di anidride carbonica è di 0.8 per chilogrammo di prodotto, quell’acquisto rientrerà appieno nella fascia “verde” e quindi sostenibile, del grafico.
Anche l’Italia favorevole al “marchio dei cambiamenti climatici”
Una ricerca del 2019 pubblicata dall’azienda Carbon Trust ha mostrato che l’85% degli italiani ritiene importante che ogni prodotto abbia un’etichetta che descriva le sue modalità di produzione e la relativa impronta di carbonio. Il dato proviene da un sondaggio condotto online da YouGov, società di ricerche di mercato globali, che ha coinvolto altre nazioni, tra cui Canada, Olanda, Stati Uniti, Svezia e Regno Unito. In generale, ogni paese si è dichiarato favorevole all’etichetta dell’impronta climatica.