Troppe differenze fra topi ed esseri umani: questa è la motivazione che ha portato un team di ricerca del Centro Piaggio dell’Università di Pisa guidato dalla professoressa Arti Ahluwalia a pubblicare uno studio che spiega come l’utilizzo di esperimenti in vitro sia certamente più funzionale per la verifica scientifica delle conseguenze dell’obesità sull’uomo. Nessuna motivazione etica, come tengono a precisare, ma solo pratica e funzionale: “Questi studi hanno il potenziale per ridurre gli esperimenti sugli animali nella ricerca sull’obesità e possono aiutare a svelare specifici meccanismi cellulari che sono alla base della risposta del tessuto al sovraccarico nutrizionale.”
Uomini e topi
La questione appare semplice: “Sappiamo molto sui dettagli del metabolismo dei roditori, ma manca ancora una comprensione dettagliata dei meccanismi alla base dell’omeostasi del glucosio umano e della risposta alla sovra-nutrizione cronica, nonché della coesistenza di più patologie nello stesso individuo legate all’obesità umana e delle risposte agli interventi.” Insomma gli studi sui topi, in cui l’obesità viene indotta, dato che nessun animale (tranne noi) tende a mangiare più del necessario, ci hanno fatto scoprire molto su quello che accade a questi animali, ma poco di quello che accade a noi, rendendo poco utili gli esperimenti sugli animali.
“Oltre alle evidenti differenze tra durata della vita umana e dei roditori, dieta e biologia di base – si legge ancora nello studio pubblicato e consultabile online – i modelli animali non sono suscettibili alla dissociazione delle dinamiche metaboliche in diversi tessuti e organi”. Ma come ha lavorato il team della professoressa di bioingegneria Ahluwalia? Utilizzando un sistema in-vitro composto da più tessuti (grasso, fegato e tessuto vascolare) connessi tramite canali microfluidici per studiare l’insorgere di danni vascolari e segni di infiammazione sistemica legati all’aumento di tessuto adiposo fino a quantità che corrispondono nell’uomo a sovrappeso e obesità.
Test sugli animali? “Scarsa rilevanza”
In un’intervista al nostro magazine, Susanna Penco, ricercatrice dell’Università di Genova che da sempre lavora nel campo della sperimentazione medica senza l’utilizzo di animali, aveva spiegato: “I test condotti sugli animali sono per la maggior parte dei casi di scarsa rilevanza perché non sono specie-specifici. Forse in pochi sanno che il 90% (92%) dei farmaci testati sugli animali e risultati efficaci con quel modello non passano i test clinici”. Anche l’utilizzo dei bioreattori, ossia modelli di organi e tessuti umani ricostruiti e funzionanti, è una realtà. Sempre Penco spiega: “Il brevetto dei bioreattori è italiano ma è stato venduto alla Gran Bretagna. All’estero si usano già, ma costano: i topi e i cani un po’ meno.”