La Pianura Padana è la zona in Italia con la maggiore densità di bovini e suini in assoluto, anche se si tratta di “animali invisibili”, lontani dagli occhi delle persone perché rinchiusi nei capannoni degli allevamenti intensivi. Questo è il punto di partenza di “Soy economy, l’altra faccia dell’allevamento intensivo made in Italy” (qui in alto), brevissimo documentario di Francesco De Augustinis che esplora la realtà degli allevamenti intensivi nel nostro paese dal punto di vista della loro sostenibilità.
Il primo dato di fatto riguarda la soia: si tratta di un elemento fondamentale per la composizione dei mangimi perché, grazie al suo notevole apporto proteico, contribuisce a sostenere il fisico degli animali da allevamento, provato da ritmi di produzione estenuanti. Da dove proviene la soia utilizzata per sfamare gli animali negli allevamenti? La risposta apre scenari disastrosi sul fronte della sostenibilità: se, da un lato, una piccola parte di questa produzione avviene in Italia, la stragrande maggioranza del prodotto finito viene invece importata dall’estero, specialmente dal Brasile. Basti pensare che solo nel 2016, l’Italia ha importato 519 mila tonnellate di soia da questo paese e che “importiamo l’equivalente di 29 milioni di ettari di soia sui 42 milioni di ettari che il Brasile ha a disposizione”, come dichiara nel video Giorgio Apostoli, Capo Servizio Zootecnia in Coldiretti.
Esiste anche la soia italiana, ma come mai non viene utilizzata? “La soia brasiliana ha un alto contenuto proteico e per questo è ideale per gli allevamenti intensivi; in più, ha un costo di produzione più basso rispetto a quella di altri paesi”, spiega Stefano Liberti, giornalista e autore dell’inchiesta “I signori del cibo”.
A fare le spese di questa importazione è soprattutto la foresta amazzonica, che negli ultimi decenni è stata abbattuta per fare spazio alla coltivazione di soia. Vero è che, dal 2006, una moratoria ha frenato la distruzione dell’Amazzonia per produrre questo alimento, ma la coltivazione di soia rimane comunque la più grande minaccia per questo “polmone verde”. Questo perché, di fatto, la moratoria viene aggirata, come spiega Liberti: “La moratoria prevede che non si possano abbattere alberi per fare spazio alla coltivazione di soia, ma non riguarda i terreni disboscati inizialmente per altri usi, poi adattati alla produzione del legume. Questo significa che, ufficialmente, il disboscamento avviene per ricavare legname, ma in realtà i terreni vengono presto adibiti alla coltivazione”.
L’elusione della moratoria, in realtà, avviene anche in un altro modo: la produzione di soia in Brasile si è infatti spostata anche in altre aree del paese, interessando realtà come il Cerrado, considerato uno degli ecosistemi più vari e ricchi del mondo. “Nonostante la moratoria, la distruzione della foresta non si è fermata”, spiega Anaitha Yousefi, direttore campagne di Mighty Earth, associazione che si occupa della difesa dell’ambiente. “Al contrario – continua – ha iniziato a interessare anche altre zone al di fuori dell’Amazzonia brasiliana. Il problema è che anche il Cerrado, per esempio, è molto ricco di carbonio e bruciarne la vegetazione avrà sicuramente un impatto importante sulle emissioni di gas serra“.
Ma non è tutto: la produzione di soia in questo paese implica la cosiddetta “crudeltà a cascata”, come spiega Philip Limbery, autore di “Farmageddon” e “Dead Zone”: “Per scrivere i miei due libri sono stato in Argentina e, più di recente, in Brasile per vedere con i miei occhi le conseguenze della coltivazione di soia: la fauna locale non esiste più“. Non solo, quindi, sfruttamento degli animali all’interno degli allevamenti nei paesi che importano la soia, ma sofferenza ed estinzione anche per gli animali selvatici che vivono in queste zone. “Purtroppo tutte le produzioni delle eccellenze italiane, per le quali siamo famosi nel mondo, sono implicate in questo sistema di produzione e dipendono da esso”, dichiara nel video Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia. Un impatto ambientale ed etico in cui il nostro paese gioca, dunque, un ruolo importante e che dipende soprattutto dagli allevamenti intensivi, una delle prime cause di inquinamento al mondo.
Allevamenti intensivi in Italia, Essere Animali: “Ecco che cosa vediamo ogni giorno”