Pochi giorni dopo la Giornata Mondiale della Terra, SlowFood, associazione italiana che lavora a livello internazionale per ridare valore al cibo, si schiera contro gli allevamenti intensivi, accusati di rappresentare una delle minacce maggiori per l’ambiente. Pur avendo tacciato i prodotti vegani di essere un inganno per il consumatore, SlowFood ha comunque più volte ribadito la necessità di limitare il consumo di carne – anche attraverso la campagna SlowMeat e le dichiarazioni del suo fondatore Carlo Petrini – e di tornare a una filiera produttiva sostenibile. Questa volta, invece, il dito è puntato direttamente contro l’industria della carne: Stefano Liberti, giornalista e autore italiano, esplora per SlowFood la minaccia ambientale enorme che ha il volto degli allevamenti intensivi.
In aumento la popolazione mondiale, mancano le risorse
Secondo la FAO, entro il 2050 sulla terra ci saranno un terzo di bocche in più da sfamare: la popolazione mondiale, infatti, aumenterà di circa un miliardo e mezzo di individui, arrivando a sfiorare i 9 miliardi totali. Questo aumento esponenziale della popolazione porterà con sé una sfida enorme: trovare le risorse per nutrire tutti nella maniera migliore. Secondo CIWF Italia nel mondo vengono allevati 70 miliardi di animali tra polli, suini, ovini, bovini e conigli di cui 25 miliardi esattamente in questo momento (come riporta l’immagine qui sotto). Se l’aumento del consumo (e della richiesta) di carne dovesse seguire le tendenze attuali, significherebbe che entro il 2050 dovranno essere 120 miliardi gli animali allevati per sfamare tutta la popolazione mondiale.
Ma questo non è possibile: già oggi gli allevamenti intensivi occupano milioni di ettari di terreno per gli spazi destinati ai capannoni ma soprattutto per le coltivazioni di cereali e soia impiegate per alimentare gli animali. Cibo, va detto, che viene sottratto direttamente all’alimentazione umana e che, in termini di resa, comporta sprechi enormi: secondo SlowFood, infatti, per produrre la stessa quantità di proteine, un maiale consuma nove volte più terreno rispetto ai fagioli di soia, che potrebbero essere destinati all’alimentazione umana (nella foto qui sotto).
Allevamenti: “serve una risposta urgente”
Come se ciò non bastasse, gli allevamenti intensivi inquinano: al di là dei rifiuti che producono, infatti, si stima che il 51% dei gas serra globali derivi proprio da queste attività. A tutto questo, ovviamente, va aggiunto anche un enorme spreco di risorse idriche: una bistecca da 300 g “costa” 4650 litri di acqua, contro i 1700 litri richiesti per produrre mezzo chilo di riso. “Le cifre sono inesorabili – riporta il sito dell’associazione – e continuare a mangiare carne con i livelli di consumo a cui si è abituato l’Occidente è insostenibile: ad esempio se anche solo i popoli di Cina, India e Brasile iniziassero a mangiare la stessa quantità di carne, non basterebbe la superficie della terra per sfamare il bestiame”. Insomma, l’allarme lanciato da SlowFood deve farci riflettere: mangiare meno carne e di maggiore qualità pare, ad oggi, l’unica stringente soluzione ai problemi ambientali. Proprio per questo scrive Liberti: “In un pianeta sempre più sovraffollato, l’allevamento intensivo e la sovrappopolazione degli animali sono questioni ineluttabili che richiedono una risposta urgente con un dibattito quanto più approfondito possibile”.
Coop22, SlowFood, Petrini: “Meno carne, l’Occidente dia l’esempio”