di Francesca Isola
I vombati sfruttano l’olezzo delle loro feci (di bizzarra forma cubica) per acquisire indicazioni circa la disponibilità sessuale di un partner. Le formiche Metabele, lunghe circa due centimetri e diffuse in tutta l’Africa subsahariana, quando rimangono ferite dalle termiti, emettono un feromone per attirare l’attenzione delle compagne ed essere portate in salvo. Gli gnu, durante la loro annuale migrazione, lasciano una traccia odorosa per indicare ai compagni la strada da seguire.
Il mondo degli odori è spesso lasciato in secondo piano dalla nostro cultura “igienizzata” eppure è stato – ed è – fondamentale non solo per noi ma anche nel mondo naturale, anche al fine della tutela della biodiversità. L’olfatto è centrale nella comunicazione animale. Francesca Buoninconti nel suo Senti chi parla spiega che si tratta di “messaggi chimici, piccole molecole o composti capaci di segnalare i confini di un territorio, chiamare a raccolta i membri di una colonia, garantire il riconoscimento tra gli individui, far incontrare due partner seguendo una scia di ‘profumo’”. Fondamentale è la funzione svolta dai feromoni, composti chimici prodotti da una specie per inviare segnali solo ai suoi conspecifici. In fondo, l’amore è una questione di chimica. Lo sanno bene i lemuri catta, diffusi in Madagascar, che per fare colpo su una partner non sfruttano i loro grandi occhi color ambra bensì un composto odoroso da loro prodotto che strofinano sulla coda per poi sventolarla sotto il naso della potenziale compagna. I cervidi non sono certo da meno. Strusciano il palco di corna lungo le cortecce per marcare a livello olfattivo il territorio durante il periodo riproduttivo.
Uno dei più celebri strumenti anti-predatori basati sull’olfatto è invece quello messo in atto dalla moffetta. Questi animali sono infatti in grado di spruzzare un liquido puzzolente capace di allontanare qualunque malintenzionato. L’aroma? Uova marce, gomma bruciata e aglio. Puzze e profumi nel regno animale possono però anche essere utilizzati per ingannare. Il serpente giarrettiera maschio, per esempio, si finge femmina emettendo specifici feromoni per sfuggire ai predatori. E che dire degli opossum? Per difendersi da un attacco, i marsupiali si fingono morti e rilasciano un liquido maleodorante che scoraggerebbe chiunque.
Note di testa: l’olfatto, questo sconosciuto
Uomini e donne non sono poi tanto diversi dai loro compagni di pianeta, però. “Anche gli esseri umani usano gli odori per comunicare – sembra che l’innamoramento sia guidato soprattutto dai feromoni -, ma in genere siamo meno consapevoli di questa forma di comunicazione rispetto alle altre”, spiega la filosofa Eva Meijer, autrice di Linguaggi animali. Una parte importante della comunicazione (animale e non) è giocata dall’olfatto attraverso profumi e odori molesti ed è la prima forma di “messaggistica” che si è sviluppata sul nostro pianeta.
Ma cosa sono di preciso gli odori? La sensazione olfattiva ha luogo quando un certo numero di molecole odorose raggiunge l’epitelio olfattivo posto alla sommità delle cavità nasali, dove si trovano i recettori. Un singolo odore percepito è in realtà un mix di centinaia di molecole diverse che conferiscono quella specifica impronta odorosa a ciò che si annusa. Per secoli, in Occidente, l’olfatto è stato vittima di una svalutazione che lo ha relegato tra i sensi “minori”. Dominati da una mentalità visivo-acustica, gli esseri umani hanno finito col riconoscergli una funzione sempre più accessoria. Un tempo non era così. Nel suo Il naso intelligente, la professoressa Rosalia Cavalieri spiega bene che in passato (ma anche in molte culture odierne) l’olfatto era il senso più rilevante: la discriminazione degli odori, infatti, era fondamentale per la sopravvivenza umana. Permetteva di orientarsi nello spazio, di individuare tracce di cibo, la presenza di eventuali partner e di predatori. “La sensibilità chimica si ridusse progressivamente – scrive Cavalieri – al punto da diventare superflua per la caccia, soltanto quando gli antenati dell’uomo lasciarono le foreste per condurre una vita diurna: la nuova modalità di esistenza rendeva necessaria una vista più sviluppata”. La vista acquisì così una nuova importanza, mentre l’olfatto, senso di una conoscenza più diretta e partecipativa, fu relegato all’ultimo posto.
Note di cuore: il profumo delle emozioni
L’olfatto, però, non è solo una questione di recettori. Mai sentito parlare di “sindrome di Proust”? È stato proprio il grande scrittore francese a descrivere lo straordinario potere evocativo degli odori, capaci di riportare a galla episodi che credevamo persi per sempre. All’inizio della sua opera più incredibile, Alla ricerca del tempo perduto, l’autore spiega infatti come il semplice assaggio e il profumo di una madeleine riescano a scatenare in lui un’ondata di ricordi legati alla sua infanzia e a sua zia. La memoria si disvela in tutta la sua potenza grazie all’odore, che diventa chiave per recuperare il passato, sottraendolo al logorio del tempo. L’olfatto svolge inoltre un ruolo centrale nell’intimità, influenzando le nostre scelte attrattive e fornendoci informazioni circa la possibile compatibilità con un partner. La relazione tra olfatto e vita emotiva si crea perché i recettori olfattivi del nostro naso sono collegati al sistema limbico (detto anche “cervello emotivo”), responsabile dell’origine e della gestione dei processi emotivi. Gli odori raggiungono amigdala e ippocampo evocando quindi sensazioni e ricordi che sembravano sopiti.
Note di fondo: memorie e natura
L’amore per un determinato odore è innato o influenzato da cultura ed esperienze? La risposta sta nel mezzo. Esistono profumi sui quali vi è un consenso quasi universale. Vi suonano familiari “petricore“ e “geosmina“? Forse questi nomi non vi dicono nulla, eppure li conoscete molto bene. Sono infatti due sostanze chimiche responsabili del profumo della pioggia e della terra bagnata. Combinate tra loro, conferiscono all’aria un aroma inconfondibile e molto amato, perché richiama il tema della fertilità e del raccolto, toccando, quindi, il nostro io più ancestrale. Al contrario, un odore sgradevole ai più è quello della frutta marcia. Esso è infatti associato all’idea di un cibo non commestibile, alla morte e alla malattia, e per questo ne rimaniamo alla larga. La memoria olfattiva ha quindi anche la funzione di salvaguardare la salute dell’individuo, tutelandolo da situazioni potenzialmente pericolose.
Al tempo stesso, i gusti olfattivi sono plasmati dalle nostre abitudini ed esperienze. “Nell’uomo l’olfatto è funzionale già alla fine della dodicesima settimana intrauterina e il feto inizia da subito, attraverso placenta e liquido amniotico, a ricevere gli aromi di cibi e bevande assunti dalla madre e, indipendentemente dal fatto che si tratti di gelato alla vaniglia, chili con carne o bagna càuda, questi diventano parte del mondo sensoriale in cui il feto si sviluppa e a cui si abitua“, scrive la neuroscienziata Anna D’Errico nel suo saggio Il senso perfetto. Già alla nascita, il bambino possiede quindi dei gusti che continueranno a evolvere o a cambiare nel corso della crescita. Poi, sarà l’esperienza a segnare in maniera definitiva le nostre predilezioni. Un evento spiacevole associato a un odore, per esempio, lo renderà sgradito anche se risulta piacevole per la maggior parte delle persone. E viceversa: quanti di noi amano l’odore di letame (odiato dai più) perché ci ricorda momenti piacevoli trascorsi in campagna? L’olfatto “ha che fare con le nostre memorie più profonde, – scrive D’Errico – che sono talvolta legate a odori particolari e sono intrise di emozioni, gioie e paure perché il naso è collegato direttamente alle aree più ancestrali del cervello”.
Spazi verdi, piante e fiori, proprio grazie ai loro profumi, sono una parte fondamentale del benessere umano. Nel 2019 il professor Marcus Hedblom della Swedish University of Agricultural Sciences ha condotto un esperimento che dimostra quanto determinate scene naturali con i loro odori possano ridurre lo stress e abbassare la frequenza cardiaca. I partecipanti al test sono stati sottoposti a tre diverse realtà virtuali (una città, un parco e una foresta) con i relativi rumori e odori. I risultati hanno mostrato che trovarsi in un ambiente urbano (con puzza di diesel e catrame) può mantenere l’individuo in uno stato di stress prolungato; al contrario, immergersi in un parco o in una foresta con i profumi di erba, funghi e abeti produce una riduzione piuttosto rapida delle risposte allo stress autonomo. E il risultato sorprendente è stato scoprire che gli stimoli olfattivi possono essere più efficaci nel facilitare la riduzione dello stress rispetto a quelli visivi e sonori.
Il naso delle piante
Incredibile a dirsi ma anche le piante annusano. Il biologo Daniel Chamovitz nel suo Quel che una pianta sa spiega che anche nell’universo vegetale si fa ampio uso dei cinque sensi. In particolare, si è osservato che, pur non avendo un sistema nervoso, le piante reagiscono ai feromoni proprio come animali, umani e non. Le piante emettono odori per innumerevoli ragioni (in primis, attirare gli impollinatori), percepiscono quelli delle “colleghe” vicine e riescono a capire se un’altra è stata attaccata da un insetto, attuando così un meccanismo di difesa. Chamovitz dice infatti che le piante “rilevano una sostanza chimica volatile nell’aria e (anche se prive di nervi) convertono questo segnale in una reazione fisiologica. Questo può essere certamente considerato olfatto”.
In natura esistono quindi una grandissima varietà di odori capaci di veicolare messaggi di fondamentale importanza. Dopo anni di svalutazione, è arrivato il momento di riconoscere il valore del più bistrattato dei sensi. In fondo, l’olfatto sembra proprio essere il senso più intimo che possediamo, in grado di restituirci un legame con la nostra natura più selvaggia.