Il 71% della Terra è coperto dai mari e dagli oceani e dalla loro salute dipende la sopravvivenza di tutti gli abitanti del nostro pianeta. L’uomo, però, ormai da decenni sembra essersene dimenticato e con le sue attività – tra le quali spicca senza dubbio la pesca intensiva indiscriminata – sta mettendo a repentaglio la vita di milioni di creature, marine e non. A ricordarci il nostro spaventoso impatto sui mari e sui suoi abitanti interviene Seaspiracy, un breve documentario realizzato da Ali Tabrizi, giovane attivista vegano inglese noto sul web come “The Friendly Activist” che, mettendo insieme dati e informazioni ricavate da altri documentari come Cowspiracy o Troubled Waters – ha dipinto un quadro tanto vero quanto terribilmente allarmante.
Fitoplancton: alghe microscopiche, ma indispensabili
Sono invisibili a occhio nudo ma producono l’80% dell’ossigeno che respiriamo, mentre assorbono anidride carbonica: si tratta del fitoplancton, l’insieme delle alghe marine che abitano i mari e gli oceani del nostro pianeta, in quantità enormi; pensiamo solo che in un bicchiere di acqua di mare possono esserci oltre 100 milioni di fitoplancton. La loro presenza è così fondamentale negli oceani che se queste alghe marine scomparissero, molte altre specie acquatiche morirebbero con loro.
Il fitoplancton, infatti, rappresenta la base dell’alimentazione di tantissimi animali marini, nonché il primo anello di una catena alimentare molto complessa. La sua presenza e abbondanza, però, dipende soltanto dalla salute dei mari e degli oceani, che a sua volta è gravemente minacciata dalle attività umane. Tra queste c’è la caccia alle balene, con le quali il fitoplancton ha un rapporto simbiotico: questi animali producono ogni giorno circa tre tonnellate di feci che rappresentano il fertilizzante indispensabile per il fitoplancton; senza le balene, queste alghe microscopiche rischiano di scomparire e con esse buona parte della vita negli oceani.
Animali marini: una strage silenziosa
La natura è fatta di equilibri delicati e molto complessi: in ogni ecosistema esistono predatori e prede che coesistono senza che gli uni minaccino la sopravvivenza degli altri, ma questo discorso non sembra valere affatto per l’uomo. Da decenni ormai i mari sono diventati una sorta di calderone dal quale attingiamo risorse e ricchezze – per esempio attraverso la pesca – senza restituire niente in cambio, se non rifiuti e inquinamento.
Ogni anno sono 650 mila gli animali marini assassinati dai pescherecci tra balene, delfini e foche, ai quali si devono aggiungere gli oltre 200 mila squali uccisi ogni giorno, il che si traduce in 73 milioni di squali massacrati ogni anno per la loro carne, ma anche “per errore”.
È emblematica in particolare la situazione degli squali, che vivono sulla Terra da oltre 400 milioni di anni, e che per mano dell’uomo stanno andando incontro all’estinzione nel giro di qualche decennio. Ma la situazione è ancora più critica, perché secondo gli esperti
attualmente sono 140 le specie acquatiche a rischio estinzione a causa dell’uomo, ma sembra che nessuno si preoccupi dell’enorme impatto che questo massacro ha sugli ecosistemi marini di tutto il mondo.
Quanti pesci peschiamo ogni anno?
Sono numeri che si fa fatica perfino a pensare, ma parliamo di circa 2,7 trilioni di pesci estratti dai mari e dagli oceani di tutto il mondo, di cui circa il 40% viene scartato perché frutto di quella che viene definita “cattura accessoria“, una pesca non intenzionale a causa della quale milioni di pesci vengono rigettati in mare morti o moribondi. Un terzo di questo enorme quantitativo di pesci, invece, è destinato all’alimentazione degli animali da allevamento, che negli ultimi anni sono diventati incredibilmente “i maggiori predatori dell’oceano”.
I pesci sono tra gli animali più minacciati al mondo, ma anche i meno tutelati dal punto di vista dei loro diritti: capita fin troppo spesso che, dopo essere stati pescati, vengano storditi con metodi anacronistici tra i quali colpi in testa, elettrocuzione, immersione in acqua fredda o gasazione con anidride carbonica, quest’ultima tramite l’immersione in acqua satura di CO2. Tutti metodi la cui efficacia non è provata e che non garantiscono a questi animali una morte indolore e priva di sofferenze.
Pesca sostenibile: “un’utopia romantica”
Anche se ormai è chiaro che i nostri mari sono allo stremo delle forze e che l’unica azione in grado di salvarli sarebbe smettere completamente di pescare, perfino le più grandi associazioni ambientaliste del mondo continuano a più riprese a parlare di “pesca sostenibile”. Un concetto che allontana pericolosamente i consumatori dalla verità sullo sfruttamento indiscriminato dei mari e dei suoi abitanti, ma che nasconde una verità amara: secondo gli esperti, una pesca realmente sostenibile è impossibile, per via del “debito” enorme che abbiamo accumulato finora con i nostri mari.
Pesca illegale: una piaga senza fine
Circa il 30% dei pesci pescati nel mondo ogni anno proviene da paesi in via di sviluppo: qui non solo non esistono leggi a tutela degli ecosistemi marini, ma queste attività vengono anche svolte in condizioni di sfruttamento e di schiavitù dei lavoratori. Se a questo aggiungiamo che questi sono i luoghi verso cui le specie marine più gravemente minacciate migrano per sfuggire al massacro da parte dell’uomo, capiamo bene come la situazione non sia più sostenibile.
Mangiare pesce, carne e qualsiasi derivato animale non è necessario per la salute e non è più giustificabile da nessun punto di vista – né etico, né ambientale, né salutistico – ed è necessario capirlo adesso, prima che sia troppo tardi. Diventare vegani è semplice, oltre che estremamente necessario per la salvezza del nostro pianeta, uomo compreso.
Le foto nell’articolo sono tratte dalla pagina Facebook dedicata al documentario.