“Ci sono numerosi ristoranti del Gruppo Fu in Yuyuan Road, ma questo si differenzia per il suo essere strettamente vegetariano. Si sviluppa su tre piani ed è suddiviso in stanze private che dona agli ospiti un enorme senso si serenità. I menù sono progettati a regola d’arte e i piatti presentati artisticamente sfruttando le tecniche e i metodi culinari dalla cucina sia cinese che occidentale” – Guida Michelin.
Mangiare al Fu Hei Hu è, insomma, un’esperienza davvero unica, parola di Mike Peters, giornalista di The Straits Times tanto che, secondo il sito The world’s 50 best che classifica i 50 migliori rappresentanti di una certa categoria, il Fu Hei Hu è il 19° ristorante tra i migliori di tutta l’Asia.
Un’atmosfera soffusa ed elegante in ambiente minimalista caratterizza il ristorante dello chef Tony Lu che ha ideato un menù completamente privo di carne e che celebra ed esalta gli ingredienti delle comunità indigene del continente asiatico come i semi di loto, i fagioli rossi di Hokkaido, il taro e il frutto longan (anche detto “occhio di drago”). La cena comprende 8 portate di pietanze artisticamente impiattate frutto di abbinamenti creativi e ricercati serviti in camere private al riparo dal rumore: avocado e mango, pomodoro in cialda croccante, gnocchi di taro con spinaci e crema di zucca, involtino di melanzana con kai-lan (broccoli cinesi), sesamo bianco e salsa teriyaki.
Chef Lu, con la sua giovane età, cucina in modo intenso ed empatico e dopo il primo boccone i commensali paiono non rimpiangere affatto la mancanza di carne nel menù. La Cina sta mirando infatti a ridurre progressivamente i consumi di carne del 50% a livello nazionale per arginare i danni ambientali causati dall’allevamento e il Fu He Hui è riuscito a dimostrare anche ai più settici che semi, carote e rape possono davvero saziare e soprattutto essere deliziose.
Certo forse si tratta di un ristorante non proprio alla portata di tutti: una cena oscilla tra i 580 yuan (quasi 120 dollari) e i 780 yuan a persona, ma se fate un salto a Shanghai una sosta al 1037 Yuyuan Road, Changning district è d’obbligo.
La Cina e la carne
Complice una maggiore consapevolezza ambientale e la presa di coscienza dei benefici che apporta al pianeta un determinato stile di vita, molte nazioni si stanno scoprendo vieppiù vegetariane e il numero dei vegani è in aumento (in Italia sono il 7,6% le persone che hanno escluso la carne dalla loro dieta secondo i dati Eurispes)
Ci sono invece altri paesi che vedono il loro consumo di carne aumentare: si tratta di paesi molto estesi e densamente popolati che stanno vivendo un momento di forte crescita economica. Sono i cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa).
In Cina tra il 1960 e il 2012 si è passati da 4 a 58 chili di carne consumata a persona in un anno (Fonte: FAO); in cima alla classifica pollame e suini (i cinesi sono i più importanti consumatori di carne di maiale al mondo e anche tra i primi produttori), a seguire ovini e bovini.
Metà della popolazione mondiale di maiali da allevamento, circa 476 milioni di individui, si trova oggi proprio in Cina.
Nel 1992 la Cina ha sorpassato gli Stati Uniti come paese leader nel consumo di carne a livello mondiale arrivando dagli anni duemila a oggi a 71 milioni di tonnellate di carne consumate in un anno, più del doppio di quello degli Stati Uniti.
L’aumento progressivo del consumo di carne in Cina è però stato sempre circoscritto alle famiglie benestanti tanto che la carne è diventata un simbolo sociale di benessere ed agiatezza. Qualcosa però, dal 2016, sembra stia cambiando.
Lo scorso anno infatti il governo cinese ha emanato delle linee guida orientate alla modifica radicale della dieta dei cittadini cinesi con l’obbligo di consumare non più di 40/75 grammi di carne a persona in un giorno, ovvero dimezzando di fatto il consumo nazionale di carne. Per farlo si è rivolto a personaggi famosi che prestassero il loro volto alla campagna di sensibilizzazione come Arnold Schwarzenegger e il regista James Cameron.
Una tale flessione del consumo di carne, se tutti i cittadini cinesi rispettassero le linee guida, basterebbe a ridurre le emissioni di anidride carbonica di 1 miliardo di tonnellate entro il 2030.
Serena Porchera