Dopo esserci occupati del Lush Prize 2016 e dei suoi vincitori, abbiamo contattato la dottoressa Giorgia Pallocca – ricercatrice italiana tra gli assegnatari del fondo monetario per una ricerca senza animali – per farle qualche domanda sul suo lavoro, i suoi studi e i suoi progetti futuri. La ricerca senza animali è un tema molto importante e sentito, anche nel nostro paese.
Dottoressa Pallocca, una delle maggiori obiezioni alla ricerca scientifica senza animali è che non sia efficace: è davvero così?
La ricerca scientifica viene portata avanti soprattutto usando modelli, animali o alternativi che siano. Essendo appunto modelli, questi non possono essere direttamente trasferiti sull’organismo umano poiché presentano semplificazioni e differenze. Questo purtroppo è vero per entrambi gli approcci: gli effetti di una determinata sostanza su cellule umane è una semplificazione degli effetti che si osservano su un intero organismo. Allo stesso tempo gli effetti della stessa sostanza in un animale possono notevolmente differire da ciò che avverrebbe nell’uomo, poiché sono note diverse differenze dipendenti dalla specie animale che si decide di utilizzare. Quindi l’unico modo per dimostrare l’efficacia dei modelli alternativi è di svilupparli e testarli.
Un singolo modello difficilmente è in grado di essere efficace, ma una nuova idea è quello di combinare più modelli alternativi e usarli in combinazione per verificare la tossicità di una particolare sostanza. Si tratta di un approccio innovativo, quindi avremmo bisogno di qualche tempo per verificare se sarà davvero efficace per l’uomo.
In cosa si differenzia la ricerca senza animali rispetto a quella portata avanti finora?
Credo che la maggior parte dei ricercatori porti avanti una ricerca “etica”, ma credo anche a volte non si voglia prendere in considerazione alternative, solo perché non si vuole lasciare la strada conosciuta, anche se forse porta nella direzione sbagliata. La ricerca senza uso di modelli animali permette di accelerare i tempi per testare la tossicità delle migliaia di sostanze a cui siamo normalmente esposti e allo stesso tempo utilizzare modelli che non presentano le differenze specie-specifiche di cui parlavo sopra. Inoltre permette di studiare più facilmente i meccanismi cellulari alla base delle reazioni che vengono osservate.
Quali sono gli ambiti in cui questo tipo di ricerca sta dando frutti migliori?
Grazie al bando dell’uso di modelli animali nell’industria cosmetica nell’Unione Europea, i metodi alternativi in questo settore hanno avuto la loro migliore possibilità di mostrare le loro potenzialità ed essere realmente sviluppati e sfruttati.
Lei è italiana, ma ha scelto di portare avanti i suoi studi in Germania: crede che l’Italia non sia ancora pronta per una ricerca scientifica senza animali?
In realtà sono arrivata in Germania perché ho trovato qui la possibilità di fare il mio dottorato non solo non facendo ricerca in vivo, ma in un laboratorio strettamente focalizzato sullo sviluppo dei metodi alternativi. Sono a conoscenza di altri gruppi italiani che seguono questo tipo di ricerca (e ad esempio lo scorso anno una ragazza italiana di un gruppo di Milano ha vinto il premio Lush). Non credo che l’Italia non sia pronta per una ricerca senza animali, piuttosto in Italia credo ci siano ancora problemi con la ricerca in generale, per quanto riguarda fondi e opportunità.
Cosa significa, per lei, essere tra i vincitori del Lush Prize 2016?
Sono molto orgogliosa. Non è stato sempre semplice proseguire in questa direzione durante i miei studi. Spesso mi è stato detto che sarei dovuta scendere a compromessi. Sono molto felice di non averlo dovuto fare e di aver trovato un modo di conciliare la mia etica personale con quella professionale. E sono felice che questo venga riconosciuto con un premio internazionale, dal momento che il Lush Prize è focalizzato e particolarmente sensibile a questo tema. Personalmente, essere stata presa in considerazione per questo premio è una grande gratificazione e riconoscimento dell’impegno portato avanti dall’inizio dei miei studi per arrivare finalmente a lavorare su queste tematiche.
Lei è vegetariana: è questo che l’ha spinta verso una ricerca scientifica senza vivisezione?
Direi piuttosto che sono due facce della stessa medaglia. Penso di aver sempre avuto una particolare sensibilità nei confronti degli animali e della loro sofferenza. Mi è difficile giustificare la sofferenza di animali senzienti per motivi alimentari o di ricerca scientifica. La mia opinione personale è che non abbiamo il diritto di sfruttare gli animali, solo perché siamo nella posizione in cui possiamo farlo.
Quali sono le maggiori difficoltà che ha riscontrato nel suo percorso di studi e lavoro?
Uno svantaggio che ho vissuto è stato la minoranza di progetti disponibili per la tesi. Probabilmente la situazione è diversa tra le università, ma ho sempre trovato difficile trovare progetti totalmente in vitro. Inoltre le relazioni con gli altri studenti non sono state sempre facili: c’era la tendenza a pensare che la ricerca con metodi alternativi fosse qualcosa che appartenga solo ai cosiddetti “animalisti” e non agli scienziati. A volte non è facile dare il giusto peso scientifico alla ricerca alternativa.
Su cosa sta lavorando attualmente e quali sono i suoi progetti per il futuro?
Sto facendo un dottorato di ricerca presso il gruppo del prof.Leist, che è in stretta collaborazione con il centro EU-CAAT (Center for Alternative to Animal Testing). Nel nostro gruppo di ricerca ci occupiamo di sviluppare modelli non animali per testare l’impatto di sostanze chimiche (ad esempio pesticidi o medicinali) sullo sviluppo embrionale, in particolare del sistema nervoso embrionale. È un campo particolarmente delicato, perché si applica a quelle situazioni in cui una donna in gravidanza esposta a una serie di sostanze non presenterebbe nessun sintomo, ma alcuni composti potrebbero invece avere effetti sulla corretta crescita dell’embrione. In particolare, nel mio progetto mi occupo di una specifica popolazione di cellule chiamata “cellule della cresta neurale” (neural crest cells) che si sviluppano durante le prime settimane di gravidanza e si muovono all’interno dell’embrione per poi differenziare ed entrare a far parte di diversi tipi di tessuti, come la cartilagine della testa, i melanociti della cute e una parte del sistema nervoso periferico. In laboratorio, siamo in grado di produrre questo tipo di cellule da cellule staminale pluripotenti umane e siamo in grado di testare se una sostanza interferisce con la normale funzionalità di queste cellule. Sono alla fine del dottorato di ricerca, ma vorrei proseguire con esperimenti aggiuntivi anche dopo la discussione della tesi. Questo mi permetterebbe di completare alcune parti del mio progetto che non ho potuto più finemente studiare, a causa della mancanza di tempo.
Ha dei modelli ai quali si è ispirata per intraprendere il suo percorso?
Non credo di aver avuto un modello in particolare. Durante i miei studi ho trovato importante leggere degli studi portati avanti dall’ECVAM (European Center for Validation of Alternative Methods) in Ispra (Italia) e dal CAAT (Centre for Alternative to Animal Testing) in Baltimore (USA) e Konstanz (Germania).
Ha un libro da consigliare ai nostri lettori per farsi un’idea sulla questione della sperimentazione scientifica?
Purtroppo non ho consigli per “non addetti ai lavori”. Un giornale scientifico che segue studi in questo campo è “Altex” (disponibile gratis online), dove spesso ci sono anche degli articoli più teorici, chiamati Food for Thoughts.