Da soli, gli allevamenti intensivi sono responsabili del 14,5% delle emissioni totali di gas serra, utilizzano circa il 20% delle terre emerse come pascolo e il 40% dei terreni coltivati per la produzione di mangimi. Negli ultimi 50 anni i consumi di carne hanno subito un tale incremento a livello globale che oggi nel mondo il 70% della biomassa di uccelli è composto da pollame destinato all’alimentazione umana e solo il 30%, invece, da uccelli selvatici. Poi, ci sono i rischi per la salute, con il 60% delle malattie infettive umane e circa il 75% di quelle emergenti che hanno colpito l’uomo negli ultimi 10 anni che sono di origine animale.
Mentre a Roma si apre oggi, 26 luglio, il pre-vertice delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari, il Wwf torna a fare il punto sui numeri globali che ruotano intorno al sistema degli allevamenti intensivi con il nuovo report “Dalle pandemie alla perdita di biodiversità. Dove ci sta portando il consumo di carne”.
Il Pianeta “allevato” e i rischi per la salute
I numeri che il report del Wwf mette a sistema rimandano, ancora una volta, l’immagine di quello che l’organizzazione definisce un vero e proprio Pianeta “allevato”: ogni anno, ha calcolato il Wwf, vengono macellati a scopo alimentare 50 miliardi di polli, di cui circa il 70% allevati in maniera intensiva. La quantità di carne prodotta oggi è quasi cinque volte maggiore di quella dei primi anni ‘60: in media nel mondo oggi si consumano 34,5 kg di carne a testa l’anno, ma con grandi differenze tra i Paesi. In Italia il consumo medio è di quasi 80 kg a testa quando 60 anni fa erano appena di 21 kg. La carne suina rappresenta oltre un terzo della produzione mondiale, il pollame il 39% e la carne bovina il 21%. L’Italia, con 23 milioni di capi allevati, è quarta in classifica in Ue per numero complessivo di capi. Ogni 100 abitanti, cioè, ci sono circa 11 mucche, 14 maiali, 11 pecore e 1,75 capre.
La dimensione la danno anche i numeri sul “peso” della biomassa dei mammiferi sulla Terra che vede al primo posto, con il 60%, bovini e suini da allevamento mentre i mammiferi selvatici rappresentano appena il 4% (il restante 36% siamo noi umani).
L’impatto di un sistema di tali dimensioni, raccontano i numeri, è disastroso, a partire da quelli sulla salute, come ci dovrebbe aver insegnato quanto successo con Covid-19 (dei collegamenti tra i sistemi di allevamento intensivi e i rischi di malattie zoonotiche parliamo anche noi nel nostro eBook “La connessione. Virus, sfruttamento animale e alimentazione”).
Oltre al pericolo zoonosi, tanto più elevato quanto maggiore è la distruzione di habitat naturali e biodiversità compiuta per fare spazio ai grandi allevamenti intensivi e alle colture di soia e mangimi per il sostentamento degli animali, c’è anche quello legato all’antibiotico- resistenza, ricorda il Wwf. Oggi, in Europa un terzo delle infezioni è causato da batteri resistenti agli antibiotici con l’Italia a detenere il triste primato della mortalità per antibiotico-resistenza con il 30% dei decessi totali dovuti a batteri resistenti.
Gli effetti sul clima
Il report del Wwf torna anche sulle conseguenza dirette dell’industria della carne sul cambiamento climatico. Solamente in Europa la produzione agricola è responsabile del 12% delle emissioni di gas serra: la maggior parte di queste emissioni – oltre il 60% – deriva dagli allevamenti, in particolare dal bestiame bovino. In Italia gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di inquinamento da polveri sottili, preceduti solo dal riscaldamento degli edifici.
Ma non ci sono solamente le emissioni: la crescente domanda di carne e derivati animali degli ultimi decenni ha determinato l’espansione incontrollata delle colture per mangimi influenzando tutto il sistema agricolo mondiale. Ogni anno un miliardo e mezzo di tonnellate di mangimi, tra cui principalmente soia e mais, entra negli allevamenti intensivi di tutto il mondo. La soia ha avuto negli ultimi 20 anni un’esplosione produttiva che non ha precedenti nella storia dell’agricoltura ed è tra i maggiori responsabili della deforestazione planetaria (come racconta, benissimo, il documentario “Soyalism”).
L’appello del Wwf
E’ per questo, è l’appello lanciato dal Wwf, che “è il momento di riconoscere che la salute degli esseri umani è strettamente legata alla salute degli animali e dell’ambiente ed è urgente mettere in atto una transizione agroecologica anche della zootecnia in cui si eliminino progressivamente gli allevamenti intensivi industriali”. In questo quadro, si inserisce la campagna #Food4Future lanciata dall’organizzazione la scorsa primavera per chiedere con forza un radicale cambiamento di tutto il sistema agroalimentare globale e rilanciata proprio nei giorni del pre-summit Fao che dovrebbe fare il punto sul futuro di questo sistema (summit già molto contestato da diverse associazioni che si occupano di alimentazione a ambiente per la timidezza dell’approccio e delle proposte messe in campo e il rischio di un’eccessiva influenza da parte delle grandi corporation dell’agribusiness).
L’alimentazione plant-based come risposta
Tra le proposte avanzate dal Wwf ci sono anche l’eliminazione dei sussidi agli allevamenti intensivi da parte dell’Ue e del Governo italiano e il sostegno al biologico, anche attraverso l’applicazione di un’aliquota Iva agevolata al 4% per facilitare il consumo dei prodotti bio.
Prima ancora, però, c’è quello che possiamo fare noi consumatori ogni giorni indirizzando, poco alla volta, le scelte del mercato: optare per un’alimentazione 100% plant-based si conferma, anche alla luce di questi nuovi dati, la scelta migliore per la nostra salute, per quella dell’ambiente e di tutti gli esseri viventi (qui puoi trovare qualche consiglio su come diminuire o eliminare carne, pesce, formaggio o uova in quattro settimane con 28 ricette buonissime).