Quello che è successo a Milano è un fatto molto grave e terribile. Una ragazza di vent’anni allergica alle proteine del latte, mangiando un dolce che doveva essere vegano e probabilmente contaminato con proteine del latte, ha subito uno choc anafilattico rimanendo in coma per molti giorni. Purtroppo la ragazza, alla fine, è deceduta.
Come giornale non entreremo nel merito di chi ha sbagliato perché saranno le indagini già avviate a Milano per omicidio colposo a dire di chi è la responsabilità di questa morte. Quello che analizzeremo è il modo in cui questa notizia è stata veicolata dai media generalisti, in particolare dai giornali online che, per l’ennesima volta, associano la parola “vegano” a quella di un evento tragico senza che vi sia nessuna correlazione fra le due cose, creando attraverso i propri titoli, una forma nemmeno troppo sottile di disinformazione.
Non è la prima volta che il termine vegano viene associato a conseguenze nefaste per la salute senza nessun fatto certo. Accadde qualche anno fa per un bambino che, gravemente denutrito, venne indicato dai giornali come “vegano”, quando lo erano i genitori, e il bambino, come spiegò il direttore sanitario del reparto di pediatria in cui il bambino era stato ricoverato, non era nemmeno svezzato, quindi non poteva essere vegano dato che consumava solo latte materno o latte formula (o così avrebbe dovuto fare). E su questo punto i casi sono stati moltissimi.
Quello che è successo con i titoli delle notizie riguardanti la ragazza di Milano, ripropone lo stesso sistema: mettere in correlazione, senza motivo, il mangiare vegano con lo choc anafilattico. Si tratta, chiaramente di un modo per accorciare il titolo, renderlo più accattivante e più facile da pescare per i motori di ricerca, ma si passa una comunicazione errata. Questo succede perché l’educazione alla lettura delle notizie nel nostro paese è completamente falsata: lo è sia per una difficoltà da parte dei lettori nel comprendere un testo complesso (quello che viene definito “analfabetismo di ritorno“ unito all'”analfabetismo funzionale”, molto alto in Italia) e perché i giornali negli anni si sono adattati ad un sistema di “prima è meglio” che, soprattutto online, premia titoli che generano dibattito, polarizzazioni e condivisioni piuttosto che approfondimento e lettura.
Il sistema dell’informazione online è completamente viziato fin dalle sue fondamenta, e la responsabilità è difficilissima da individuare. Da una parte i giornali online, offrendo i propri contenuti in modo per lo più gratuito, devono combattere con ricavi pubblicitari sempre più miseri e con motori di ricerca che dettano le linee guida per non “sparire” nel mare del web. Dall’altra il sistema di fruizione delle notizie, sempre più veloce e che avviene spesso anche solo attraverso i titoli delle notizie, aggrava questo circolo vizioso. Il sistema di discussione polarizzante sui social, poi, ha fatto il resto.
Quello che accade quando leggiamo “Muore per aver mangiato un tiramisù vegano” è che, senza leggere l’articolo, assoceremo nella nostra mente (ma anche nel subcosciente) un legame fra il veganismo e danni irrimediabili alla salute, quando la verità è che la ragazza cercava un dolce vegano perché fortemente allergica alle proteine del latte. Quale avrebbe potuto essere un titolo sensato? Ecco un paio di esempi: “Ragazza muore dopo choc anafilattico per proteine del latte non dichiarate”, oppure “Muore per choc anafilattico: in etichetta non erano segnalate contaminazioni da proteine del latte”. Non ha nessuna importanza che il dolce fosse vegano, poteva anche essere un dolce per intolleranti al lattosio: il vero problema è quello di un errore da parte di chi ha prodotto quel dolce.
Sono ormai 10 anni che la redazione di Vegolosi.it, cerca di denunciare i danni che il pregiudizio e la scarsa competenza sul tema del vegan dei media generalisti (televisione compresa) hanno inflitto a questa cultura e filosofia alimentare senza nessun motivo. Che questi danni siano stati fatti e continuino ad esserlo con intenzione e malafede (anche per non indispettire finanziatori ed investitori) o per semplice ignoranza, questo non alleggerisce in ogni caso il panorama. L’antidoto contro questo veleno della mala informazione è uno solo: educare le persone al pensiero critico fin da giovani. Non significa mettere in dubbio tutto e non credendo più a nulla bensì imparare a riconoscere le fonti attendibili, cercando anche di premiarle con il proprio sostegno economico oppure di condivisione.