Le balene sono tra gli animali più affascinanti e misteriosi del nostro pianeta, giganti tanto importanti per l’ecologia quanto messi a rischio dalle attività dell’uomo. Ora, il Fondo Monetario Internazionale (IMF) ha stimato un valore economico preciso di questi cetacei, trovando in loro un punto di svolta della lotta al cambiamento climatico.
Il valore è stato calcolato in base a tre parametri principali: l’industria della pesca, l’attività di whale-watching e il CCS (Carbon Capture and Stocking), ovvero il confinamento del diossido di carbonio. Ed ecco il “costo”: 2 milioni di dollari a balena, per un totale di circa 1000 miliardi di dollari vista la popolazione globale di balene attualmente presenti negli oceani.
L’industria della pesca comporta un giro di affari di circa 150 miliardi di dollari, e le balene contribuiscono alla catena trofica delle altre specie marine. Tuttavia, nonostante le moratorie internazionali sul commercio di carne di balena, l’attività di pesca non risparmia le già minacciate comunità di balene, uccidendone circa 1000 esemplari all’anno.
Il whale-watching, invece, ossia il passatempo di osservare le balene nel loro habitat naturale, muove un’industria di circa 2 miliardi di dollari all’anno in tutto il mondo.
Le balene come strumento per la lotta al cambiamento climatico
Infine, il dato che colpisce di più: il potenziale di cattura di CO2 delle balene è altissimo. Questi mammiferi marini, infatti, accumulano carbonio durante le loro vite (che generalmente sono abbastanza lunghe, con un’aspettativa di vita di circa 70 anni), e quando muoiono, adagiandosi sul fondale dell’oceano, portano con sé circa 33 tonnellate di CO2 sequestrate all’atmosfera per i secoli a venire. Per fare un paragone, un albero assorbe al massimo 22 kg di CO2 all’anno.
Fitoplancton e balene: la whale-pump
Il fitoplancton, al contrario delle balene, è uno degli organismi più piccoli che abita il nostro pianeta e il suo rapporto con i giganti del mare è stretto ed equilibrato. Recentemente, gli scienziati hanno scoperto che le balene hanno un effetto moltiplicatore sulla produzione di fitoplancton: gli scarti biologici dei cetacei contengono ferro e azoto, elementi essenziali per la crescita di questi organismi microscopici.
Infatti, attraverso il loro movimento verticale (la cosiddetta whale-pump), e quello orizzontale delle migrazioni, le balene fanno affiorare sulla superficie degli oceani i minerali utili al fitoplancton, producendo così un effetto ‘fertilizzante’ che comporta un significativo aumento delle popolazioni di questi microrganismi nelle aree frequentate dai cetacei.
Nelle aree particolarmente calde o particolarmente fredde degli oceani, però, ci sono degli elementi limitanti alla crescita del fitoplancton (l’azoto e il fosforo mancano nelle zone calde, per esempio, e il ferro è carente in quelle fredde). Se questi elementi fossero più disponibili, si potrebbe sopperire alla scarsa crescita di fitoplancton.
Ma perché queste piccole creature sono così importanti? Presto detto: contribuiscono almeno al 50% dell’ossigeno che respiriamo perché catturano ben 37 tonnellate di CO2 (il 40% del totale di diossido di carbonio prodotto). In proporzione, ci vorrebbero 4 foreste amazzoniche per assorbire una simile quantità di CO2.
In totale, quindi, la riserva di carbonio stoccata dagli oceani è 50 volte più grande di quella presente in atmosfera, secondo una ricerca dell’International Atomic Energy Agency.
Un altro motivo per salvare le balene
Tra collisioni con le navi, reti da pesca, inquinamento da plastica e inquinamento acustico, gli esemplari di balene sono, però, tuttora gravemente minacciati. Proteggere i cetacei, quindi, sarebbe un importante passo non solo per la salvaguardia della biodiversità ma anche per l’aumento di fitoplancton e quindi per la lotta all’inquinamento: l’ideale sarebbe riportare il numero di balene a quello stimato prima della loro caccia, cioè tra i 4 e i 5 milioni (contro gli attuali 1,3 milioni).
Infatti, anche solo un incremento dell’1% nella popolazione di fitoplancton porterebbe alla cattura di centinaia di milioni di tonnellate di CO2 in più all’anno – immaginiamoci l’impatto di milioni di balene e i loro 70 anni di aspettativa di vita.
Naturalmente, per il Fondo Monetario Internazionale il problema si traduce in una questione di impatto economico: secondo le stime dell’IMF, raggiungere l’obiettivo di 4-5 milioni di esemplari di balene costerebbe 13 dollari all’anno a persona. Un costo che dovremmo essere disposti a pagare, sostenendo politiche internazionali, e anche con una certa urgenza: ci vorranno infatti 30 anni per raddoppiare il numero attuale di balene, e diverse generazioni per ritornare alle cifre precedenti alla caccia alle balene. E non abbiamo il privilegio di poter aspettare così tanto.