Vegolosi

Quando Lewis Carroll si oppose alla vivisezione: il libro

“Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz’ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione”. Per chi ha letto “Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie”, questa frase pronunciata dalla Regina non suonerà di certo strana, ma tendere all’impossibile (inteso anche come ciò che è profondamente difficile) è tipico delle menti geniali e quella dello scrittore Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson, lo fu di certo.

Carroll fu scrittore, fotografo, prete anglicano e matematico ma anche pensatore immerso in quell’epoca vittoriana in cui tante meraviglie del pensiero di sono concretizzate (pensiamo a quali labirinti e straordinarie creazioni letterarie sono nate in quel periodo). Il volume “Contro la vivisezione“, edito da ETS, presenta un articolo che Carroll scrisse nel 1875 per il The Fortnightly Review, uno dei più importanti magazine inglesi del periodo.

Il tema della vivisezione praticata su animali (in particolare cani) a scopo scientifico o semplicemente dimostrativo durante lezioni di medicina nelle cupe aule scricchiolanti delle università del tempo, era al centro del dibattito politico e intellettuale dell’epoca dalla Regina Vittoria, fervente animalista e contraria alla vivisezione.
Furono le lezioni di fisiologia sperimentale di François Magendie a scatenare le polemiche più accese. La noncuranza dello scienziato di fronte alle atroci sofferenze degli animali sui quali, da vivi, praticava esperimenti molto dolorosi, creò scalpore; la sua regola fu sempre: “Sperimentate, sperimentate, e il resto verrà da sé”. Lo stesso Charles Darwin vi si oppose fermamente e partecipò alla stesura di una delle due leggi che cercarono di regolare le attività mediche sugli animali, leggi redatte da una commissione governativa appositamente dedicata e la cui nascita venne fortemente voluta dalla stessa regina Vittoria.

E’ in questo contesto che Carroll decise di esprimere con logica stringente la sua posizione contro la vivisezione. Non ci si deve aspettare un testo “animalista” nel senso moderno del termine e nemmeno il testo di un paladino degli animali: in realtà questo pamphlet è molto di più.

Credo non ci sia bisogno di giustificare il seguente tentativo di esporre chiaramente e classificare qualcuna delle molte fallacie, tali esse mi paiono, che ho incontrato negli scritti di coloro che difendono la vivisezione.

I punti essenziali della posizione di Carroll

1- Una linea netta tra il peso morale della morte dell’animale e la sua sofferenza

L’analisi dell’autore è sottile ma allo stesso tempo incredibilmente attuale. E’ ancora estremamente vero che l’uomo distingue, se non altro moralmente, il diritto di infliggere la morte agli altri animali da quello di farli soffrire. Quante persone alla domanda: “E’ giusto che un animale soffra?” risponderebbero “Sì, certo”, e quanti invece risponderebbero che abbiamo il diritto di ucciderli per mangiarli, per esempio? Carroll scopre un nodo cruciale della riflessione sul nostro rapporto con gli animali 143 anni fa.

L’uomo ha diritto assoluto di infliggere la morte agli animali senza dare alcuna ragione, purché la morte non comporti sofferenza, ma tutte le volte che si infligge sofferenza ci deve essere una specifica giustificazione.

Insomma, il punto sul quale Carroll fa girare tutte le argomentazioni attorno alle fallacie della vivisezione è proprio la sofferenza degli animali e che questa, dato anche il grande successo dell’evoluzionismo, non può essere pensata come diversa da quella umana e viceversa. “Non si presuppone forse l’assioma – sostiene Carroll – che la sofferenza umana è di natura diversa da quella animale? Strana affermazione questa sulle labbra di gente che dice che l’uomo è fratello della scimmia. Siano almeno coerenti…”.

2- Il peggior risultato della vivisezione è la conseguente corruzione morale in chi la pratica

L’argomentazione è semplice: Carroll sostiene che nei vivisettori la “compassione è stata smorzata e il loro egoismo è stato nutrito dalla contemplazione di sofferenze inflitte in modo deliberato”.

“E’ una verità innegabile e umiliante che l’uomo ha in sé qualcosa dell’animale selvaggio che lo spettacolo di una carneficina può suscitare in lui la passione per il sangue e che la tortura, quando l’abitudine abbia smorzato l’iniziale stato di orrore, può diventare […] un vero e proprio piacere e poi una gioia spaventosa.”

Si tratta dell’anticipazione di un tema molto importante che anche oggi viene affrontato dalla psicologia e dalla sociologia: quanto la crudeltà verso gli animali è sintomo di un disagio morale e mentale pericoloso anche per la società? Libro importante sul tema è quello di Annamaria Manzoni.

3- La vivisezione è inutile perché, al contrario della medicina, non porta risultati immediati

Secondo lo scrittore l’idea di prevenire, forse, in un futuro lontano, una sofferenza umana, non è giustificazione sufficiente per infliggere agli animali una sofferenza maggiore oggi. Infatti alla base delle lezioni e degli esperimenti più crudeli del suo tempo, secondo Carroll, sta solo l’egoismo e la brama di nuove, anche inutili, scoperte scientifiche. Carroll non è contrario alla medicina, anzi, sostiene che il ruolo dei chirurghi sia importante, ma solo perché opera davvero per risolvere un problema reale e non ipotetico.

4- Tollerare una forma di male non rende necessario tollerare tutte le altre

Infine, altro punto importante della riflessione di Carroll è che non si può giustificare il proprio disinteresse alla causa della sofferenza animale solo perché esistono problemi più gravi.

“Noi possiamo rispondere solo non omnia possum omnes. E certo l’uomo che trova il suo modo per diminuire, in una qualsiasi misura, uno solo della miriade di mali intorno a lui, può ben tenersi caro il detto? ‘Tutto quello che la tua mano sarà capace di fare, fallo con tutte le tue forze'”.

Quello di Carroll è un testo incredibile perché ci pone davanti a due fatti: il primo è che il tema del nostro rapporto con gli animali e la loro (e la nostra) sfera della moralità è antico, radicato, costante nella mente umana; il secondo è che chiude con una verità sempre fondamentale, ossia fare tutto ciò che è in nostro potere per cambiare le cose, è il vero dovere morale dell’uomo.