Si chiama FAST-PETasi ed è stato scoperto da un team composto da ingegneri e scienziati dell’Università del Texas: un enzima modificato in grado di decomporre, in pochi giorni, i rifiuti di plastica che dispersi nell’ambiente impiegherebbero invece secoli per degradarsi.
La scoperta, pubblicata su Nature, potrebbe rivelarsi la chiave per contrastare uno dei problemi ambientali più urgenti del pianeta: come smaltire i miliardi di tonnellate di rifiuti plastici che si accumulano nelle discariche e inquinano l’ambiente. Il gruppo di ricercatori è ricorso al machine learning (un sottoinsieme dell’intelligenza artificiale che si occupa di creare sistemi che apprendono o migliorano le performance in base ai dati che utilizzano) per generare nuove mutazioni in un enzima naturale chiamato poi FAST-PETasi (acronimo per funzionale, attivo, stabile e tollerante PETasi). Questo enzima consente ai batteri di scomporre velocemente il polietilene tereftalato (più conosciuto come PET) – una resina sintetica solitamente usata per creare capi d’abbigliamento e oggetti in plastica come contenitori di biscotti, bottiglie di bibite gassate, imballaggi di frutta e insalata – che ad oggi compone il 12% dei rifiuti globali.
Il processo circolare che l’enzima è in grado di completare si chiama depolimerizzazione e implica la scomposizione a basse temperature della plastica di scarto post-consumo in parti sempre più piccole (i monomeri originali), che possono poi essere ripolimerizzati, cioè riaccoppiati per formare plastica vergine. Se dunque una semplice busta di plastica dispersa nell’ambiente impiega dai 10 ai 30 anni per degradarsi, secondo lo studio effettuato su 51 diversi contenitori di plastica post-consumo, cinque diverse fibre e tessuti di poliestere e bottiglie d’acqua tutte realizzate in PET, con questo processo i rifiuti plastici possono essere completamente scomposti in monomeri in una settimana o addirittura, in alcuni casi, in appena 48 ore.
Smaltire la plastica potrebbe essere economico e sostenibile
Dal 2005 sono stati scoperti 19 enzimi in grado di “digerire” la plastica: enzimi derivati da batteri esistenti in natura che sono stati ritrovati su frammenti di plastica dispersa nell’ambiente. Tuttavia, fino ad ora, nessuno era stato in grado di capire come produrre enzimi che potessero funzionare in modo efficiente a basse temperature e in condizioni di pH differenti, così da renderli adattabili e convenienti su larga scala industriale. FAST-PETase sembra essere la soluzione proprio perché riesce ad adattarsi.
L’enzima che Hal Alper, professore presso il Dipartimento di ingegneria chimica McKetta presso l’UT Austin, ha scoperto insieme al suo team, può decomporre 51 tipi di PET in vari scenari di temperatura (anche a meno di 50°C) e condizioni di pH. L’enzima dunque ha il potenziale di poter rendere più “veloce e efficace” il riciclaggio su larga scala che consentirebbe alle principali industrie di ridurre il proprio impatto ambientale recuperando e riutilizzando la plastica a livello molecolare: “Le possibilità sono infinite in tutti i settori per sfruttare questo processo di riciclaggio all’avanguardia”, ha affermato. “Oltre all’ovvio settore della gestione dei rifiuti, questo offre anche alle aziende di ogni settore l’opportunità di assumere un ruolo guida nel riciclaggio dei propri prodotti. Attraverso questi approcci enzimatici più sostenibili, possiamo iniziare a immaginare una vera economia circolare della plastica”.
Inoltre questa scoperta dimostra la funzionalità dell’approccio di ricerca multidisciplinare. “Questo lavoro dimostra davvero il potere di riunire diverse discipline, dalla biologia sintetica all’ingegneria chimica passando per l’intelligenza artificiale”, ha affermato Andrew Ellington, professore presso il Center for Systems and Synthetic Biology il cui team ha guidato lo sviluppo del modello di apprendimento automatico.
Riciclare sì, ma…
Ad oggi il riciclaggio, benché sia il metodo più utilizzato per smaltire i rifiuti di plastica, consente di smaltire solo il 10% della di quella presente in questo momento a livello globale. E se il modello attuale prevede che, oltre a gettarla in una discarica, questa venga fusa (perdendo tra l’atro integrità ogni ciclo di riciclaggio), il processo non è solo costoso e ad alta intensità energetica, ma si rende colpevole di sprigionare gas nocivi nell’aria.
E se anche altri processi industriali alternativi includono processi di glicolisi, pirolisi e/o metanolisi, comunque richiedono un dispendio energetico molto più alta di quella del FAST-PETasi.
I ricercatori ora hanno depositato una domanda di brevetto per la tecnologia e ne stanno osservando i diversi usi. Ripulire le discariche e rendere più ecologiche le industrie ad alta produzione di rifiuti sono le più ovvie, ma un altro potenziale utilizzo è il risanamento ambientale: “Quando si considerano le applicazioni di pulizia ambientale, è necessario un enzima che possa funzionare a temperatura ambiente. Questo requisito è il punto in cui la nostra tecnologia avrà un enorme vantaggio in futuro”, ha affermato Alper.