Non possiamo fare finta che non esista un dato di fatto: quando si è vegani e lo si manifesta apertamente in pubblico con amici o nuovi conoscenti, la reazione che otteniamo, per la maggior parte della volte, non corrisponde all’immagine del buon umore. Riceviamo in cambio un misto fra stupore, facce sgomente e, fisicamente, passi indietro come se all’improvviso la nostra persona fosse diversa e portatrice di una sorta di virus un po’ fastidioso (capita anche quando diciamo di avere il raffreddore, pensandoci).
Vi racconto un aneddoto, a mio avviso, molto indicativo. Non molto tempo fa, una persona che non aveva nulla a che fare con il mio ambito lavorativo bensì con il mio hobby la letteratura gialla, non vegana e per nulla legata al mondo dell’ambientalismo e via discorrendo, mi contattò con un messaggio privato sui social e mi chiese: “Posso chiederti l’amicizia anche se non sono vegana?“. Vi assicuro che la sua richiesta non aveva nulla di ironico o di strafottente, non era una pazza: era sincera, una genuina “paura” di entrare in contatto con qualcuno che aveva anche questo tratto (riconoscibile grazie al profilo pubblico). Mi è dispiaciuto talmente tanto che immediatamente ho cercato (dopo averla rassicurata che sì, poteva farlo) di riflettere sul perché, nonostante io non sia di certo fra chi pubblica immagini cruente o che fa dell’essere vegana una bandiera di vita totalizzante, qualcuno si era sentito in “difetto” o impaurito, e dovesse chiedermi perciò il permesso di avere a che fare con me “anche se non”. Mi sono data alcune risposte e credo che molte siano allargabili a vari ambiti.
Il vegano ha una pessima reputazione
Sul nostro magazine ne abbiamo parlato spesso, ma la verità è che la parola “vegano”, coniata attorno al 1944 da un “distaccamento” della società vegetariana londinese, è associata in Italia a persone aggressive, petulanti, un po’ freak e decisamente strane, con le quali andare a cena è un vero supplizio e che potrebbero darti dell’assassino mentre mangi senza pensarci due volte. Perché? La risposta è duplice: perché c’è davvero chi è così (sbagliando, a mio avviso) e in secondo luogo perché i media, negli ultimi 7 anni circa, hanno cercato, per fare numeri, per creare dibattito o semplicemente per ignoranza, di fomentare dubbi, perplessità e paure verso una scelta filosofica e alimentare (in questo preciso ordine) che ha obiettivi semplici e di grande buon senso. Il problema è che a volte le cose semplici sono difficilissime da spiegare. Chi sceglie di non mangiare carne e derivati sta esprimendo politicamente ed economicamente la sua contrarietà assoluta ad un sistema di produzione antiquato, economicamente non funzionale e crudele: gli animali, trattati come macchine metaboliche, hanno diritti, soffrono e gioiscono e meritano quindi di vivere la loro vita senza finire nei nostri piatti. Fine. Mettici che le proteine vegetali funzionano perfettamente e che quindi problemi per la salute non ce ne sono, anzi semmai il contrario, e ottieni una domanda: perché non farlo? Detto questo, è chiaro che ogni cambiamento di paradigma porta con sé, da sempre, una ventata forte di opposizioni, tutto sta a capire come comunicare questa scelta.
Essere vegani non significa essere “migliori di”
Aver preso consapevolezza di un processo e scegliere di cambiare le proprie abitudini di vita e alimentari (in modo molto facile, soprattutto nel 2019), non significa che tutti gli altri (e sono davvero tanti) siano poco intelligenti. La maggior parte dei vegani di adesso, seguiva un’alimentazione “normale” fino a pochi anni fa e sa bene perciò che questo non li rendeva “meno qualcosa”. Partire dal presupposto che chi è vegano ha capito meglio e sta salvando il mondo mentre gli altri no, è senza dubbio un pensiero umano (se non altro perché la voglia di cambiare le cose, quando si vede come stanno davvero, è forte), ma non troppo funzionale. Abbiamo preso una decisione: la prima cosa e la più utile è usare il proprio esempio per raccontare che si può fare e che, spesso, si sta anche meglio. Poi esiste l’attivismo che ha un ruolo fondamentale, ma non tutti sono adatti a praticarlo e non tutti i metodi per cercare di parlare di questo argomento funzionano. Separare il “noi/voi”, non ha mai portato da nessuna parte, anzi, crea sempre conseguenze nefaste. L’approccio dialogante, quello del terreno comune è spesso il migliore ma va capito anche che non sempre funzionerà. Dall’altra parte deve esistere la volontà di ascoltare e potrebbe diventare più probabile trovarla se evitiamo di pensare di essere i salvatori dell’universo. Stiamo provando a cambiare qualcosa del nostro quotidiano, è vero, questo qualcosa è certamente utile anche a livello generale, ma niente tuta da super eroi.
Il cambiamento genera sempre “l’effetto palestra”
Quando prendiamo una decisione e cambiamo un aspetto importante della nostra vita per fare qualcosa che, ormai senza nessun dubbio, è utile anche per altri (animali, pianeta, ecosistema, salute), immediatamente in chi non lo sta facendo si genera un effetto “senso di colpa” latente e immediato. Succede anche quando diciamo all’amica o amico di sempre che “quest’anno vado in palestra”, immediatamente dall’altra parte partono le scuse: “Piacerebbe anche a me se avessi tempo, ma sai io non ce la faccio, e poi faccio anche qualche camminata ogni tanto, quindi…”. Anche queste reazione è normalissima: chi agisce e decide, chi cambia il proprio mondo di abitudini, mette in condizioni gli altri di riflettere sulla propria routine, sulle proprie convinzioni e questo non è mai la cosa più divertente del mondo, anzi. Quindi è abbastanza normale risultare antipatici o quanto meno “noiosetti”:passerà se saremo in grado di non far diventare la scelta vegana il nostro mantra quotidiano e continuo verso il prossimo.
Chi fa più rumore non è la maggioranza
Ci sono stati, negli anni, alcuni personaggi pubblici che hanno rivestito il ruolo del “Il vegano/a”; per la maggior parte dei casi erano figure estreme, poco concilianti, spesso anche non del tutto preparate sul tema. I meccanismi dei media, soprattutto quelli televisivi e dell’informazione urlata, hanno ingigantito alcuni aspetti, comunicando in modo implicito che quei personaggi erano i rappresentanti di uno stile di vita: ma questo non è vero. La maggior parte delle persone che scelgono di essere vegetariane o vegane non sono estremiste, non vorrebbero veder morire la propria madre piuttosto che curarla con le medicine testate sugli animali, e se escono a cena non fanno tragedie, si adattano, senza problemi (siamo pur sempre nel 2019 e le opzioni, anche se spesso un po’ scarse, ci sono sempre). Insomma, anche se a fare rumore sono le persone che in tv o sui social augurano la morte ai cacciatori o sostengono che chi mangia carne sia un assassino, non sono di certo la maggioranza.
Infine: essere antipatici alla maggioranza, non sempre è un male e spesso basta parlare e conoscersi, senza barricarsi dietro le proprie verità assolute per starsi più simpatici e, magari, per mangiare insieme.