Vegolosi

Paul Shapiro: “Biasimiamo la Cina ma non cambiamo la nostra dieta: non siamo onesti”

Clean meat, il saggio che Shapiro scrisse nel 2018 e nel quale raccontava il suo viaggio negli Stati Uniti alla scoperta di chi stava creando carne in laboratorio, non è mai stato pubblicato in Italia (noi ne abbiamo parlato qui). Un vero peccato. Se non altro perché quel reportage dava un’idea molto completa di quale fossero i movimenti oltreoceano sul tema “Cerchiamo una soluzione veloce e scalabile per evitare di distruggere il pianeta continuando a mangiare carne”.

Shapiro è tornato a parlare di questo tema oggi, nel ben mezzo di una delle crisi mondiali sanitarie ed economiche più potenti dal secondo dopoguerra e lo fa con parole chiare, sulla rivista Scientific American: lo ha fatto senza grandi giri di parole. Mentre biasimiamo la Cina, e dal nostro Occidente scuotiamo la testa con fare moralista nei confronti dei mercati umidi cinesi (luoghi affollatissimi e all’aperto nei quali animali di tutte le specie, soprattutto selvatici ma non solo, vengono venduti vivi e poi macellati al momento), “ciò che ci è più difficile fare è essere onesti con noi stessi su quali tipi di pandemie possiamo provocare anche noi con le nostre pratiche di utilizzo degli animali“. Insomma la sintesi è: inutile spostare il problema sui pipistrelli o i pangolini, cacciati illegalmente da 70 anni, se poi non ci ricordiamo che Aviaria e Sars sono arrivate da polli e suini da allevamento.


Shapiro spiega che al momento questa pandemia è quasi “buona” con i suoi tassi di mortalità “misericordiosi”, ma quello che virologi, scienziati e divulgatori come David Quammen (l’autore del saggio “Spillover“) attendono e pronosticano da tempo è il “big one”, ossia una pandemia che potrebbe davvero avere tassi di mortalità altissimi: “Quando quel giorno arriverà – dice Shapiro –  è molto probabile che un tale virus avrà la sua origine anche nel desiderio apparentemente insaziabile dell’umanità di mangiare animali, sia selvatici che domestici. Le condizioni in cui oggi spesso si allevano gli animali, affollandoli a decine di migliaia, è un enorme ‘amplificatore’ per le pandemie virali”. Una preoccupazione che ha il suo corrispettivo pratico nell’uso massiccio di antibiotici che possano prevenire il diffondersi di malattie fra questi esseri viventi ma che, dall’altra parte, portano ad un’altra gravissima crisi sanitaria ormai conclamata, quella dell’antibiotico resistenza.

Gli esperti di salute pubblica, preoccupati per le malattie zoonotiche, hanno lanciato per anni l’allarme sull’allevamento intensivo degli animali. Michael Greger, autore di “Bird Flu: A Virus of Our Own Hatching” (anche questo mai tradotto in Italia), definisce l’allevamento industriale un “ambiente perfetto” per le malattie infettive. “Se si vuole davvero creare una pandemia globale”, avverte l’autore nel suo saggio, “allora costruire allevamenti è perfetto”.

Shapiro conclude: “Diversificare i nostri metodi di produzione della carne non solo ci offrirebbe la possibilità di ridurre il rischio di pandemia riducendo il numero di animali vivi che dobbiamo allevare per il cibo, ma potrebbe anche contribuire a mitigare numerosi altri rischi. Che si tratti di cambiamento climatico, resistenza agli antibiotici, deforestazione, benessere degli animali o altro ancora, i vantaggi dell’ampliare il nostro portafoglio proteico sono molteplici”. L’autore fa riferimento alle ipotesi della carne coltivata (che sono sempre meno ipotesi lontane, come abbiamo visto), ma ricordiamoci anche del grande successo e della scalata (seppur lenta) che la “carne finta” vegetale creata da realtà come Impossible Foods e Beyond Meat. Non dimentichiamoci poi che mangiare 100% vegetale è sempre una scelta a portata di mano, per tutti, subito.

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