Vegolosi

Italiani a tavola: il vegano è l’ospite più temuto

Che a noi italiani piaccia mangiare bene e, soprattutto, in compagnia, lo si sapeva già. D’altronde siamo l’unico paese al mondo ad avere un discreto numero di proverbi che legano la gioia e la spensieratezza alla buona cucina. Eppure tra la paura di aver messo troppo o troppo poco sale e il non sapere bene come combinare gli ingredienti tra loro, una nuova fobia sta iniziando a preoccupare sempre più i padroni di casa: avere un ospite vegano a tavola. A parlare chiaro sono i dati raccolti dall’azienda Bonduelle sulle abitudini degli italiani in cucina.

L’indagine condotta dall’azienda agricola francese su un campione di 2.700 persone rappresentative del popolo italiano inizia interrogando gli individui sul proprio rapporto con la cucina per gli ospiti: sì, noi italiani siamo grandi amanti delle cene tra amici (37%) e parenti (61%). Non solo, addirittura il 30% riceve ospiti a casa almeno una volta a settimana. Eppure il timore che fra gli avventori si presenti una persona che mangia vegano sembra imperversare. Fra le diete le più temute secondo il sondaggio, infatti, con il 43% dei voti, c’è proprio quella che non prevede nessun ingrediente di origine animale; solo dopo, con una bella differenza nei numeri, arriva quella vegetariana al 9%. Per gli italiani basta un solo ospite vegano per entrare in difficoltà e farsi venire dubbi su cosa poter cucinare.

“Non mangi niente, quindi…”

Come suggerisce questa indagine, l’alimentazione vegana rimane ancora un campo poco esplorato nelle cucine italiche perché vittima di errate convinzioni e, soprattutto, di impreparazione sul tema. Il problema è sempre lo stesso: l’alimentazione vegana viene percepita come una lunga lista di privazioni e non come una dieta ricca di alimenti che invece, solitamente, non fanno assolutamente parte delle abitudini quotidiane. Facciamo l’esempio dei legumi che rappresentavano fino qualche decennio fa un ingrediente principe delle tavole ma che ora vengono dimenticati o relegati solo a specifici piatti (minestroni e zuppe) o a specifici periodi dell’anno (le famose lenticchie a Capodanno). Che dire poi della frutta secca o dei semi oleaginosi che non rientrano, anche se dovrebbero, nelle abitudini di consumo quotidiano e non solo: non vengono nemmeno mai immaginate come ingrediente (anche nella loro versione in crema) per piatti semplici come pasta o insalate ricche.
Il tema della privazione nella dieta vegana è radicato e spesso dovuto all’immagine che i media generalisti hanno costruito di questa alimentazione: i vegani non si godrebbero i piaceri della tavola, mangerebbero poco e solo cose “strane”. 

Bias a colazione

In più esiste un problema di grave ignoranza alimentare: non rendersi conto che una semplice pasta al pomodoro, vanto italiano, o un minestrone, o una zuppa, oppure una classica marinara, una pappa al pomodoro, una farinata, o delle polpette di pane sono “già” vegane, o che il 99,9% dei piatti può essere veganizzato facilmente o, ancora, che esistono migliaia di ricette facilissime e deliziose 100% vegetali, fa parte di due bias cognitivi forti: il primo, quello di conferma e il secondo quello della disponibilità a cascata. Nel primo il nostro cervello tende a cercare (e spesso a trovare) conferma dei suoi pregiudizi e delle sue opinioni o convinzioni, quindi se il pregiudizio sull’alimentazione vegan è forte, basterà trovare online una ricetta con un ingrediente che ignoriamo per confermare che “è tutto molto strano e faticoso”; il secondo, quello della disponibilità, ci porta, a furia di sentire sciocchezze e inesattezze sulla scelta vegana, a confermare il nostro “timore” verso questa alimentazione, poiché più una convinzione viene ripetuta pubblicamente, più tenderà a guadagnare plausibilità ai nostri occhi, sembrando sempre più corretta e vera. Eppure se leggessimo una ricetta “classica” che presenta un ingrediente che non conosciamo, correremmo a cercare informazioni online su dove reperirlo nel più breve tempo possibile o rimaniamo affascinati da carni “nuove” come quella di zebra o di coccodrillo (vedi le lunghe file da Expo 2015) che viviamo come esperienza sensoriale, ma rimaniamo turbati dal tofu o dal seitan. 

Insomma, sembra che il timore dell’ospite vegano sia il timone di non capire, di non sapere e di non essere in grado di fare fronte a starne necessità, che, in verità, sono semplicissime.

Provare non costa nulla

Nello sperimentare con i piatti vegan non c’è da aver alcuna paura. Anzi, possiamo ben dire che ci sia molto da divertirsi. Ecco qualche suggerimento da parte nostra per approfondire in modo pratico:

Non temere, ma tentare, non fuggire ma immergersi e scoprire: questo è il vero passo da fare.