Sono più di 90 milioni le tonnellate di pesce pescato ogni anno nel mondo. Sono 100 miliardi, invece i pesci che vengono allevati, “prodotti”, ogni anno nel mondo negli allevamenti intensivi. Sono 30 miliardi in più di polli, maiali ed altri animali allevati sulla terraferma. La situazione è grave più di quanto immaginiamo, forse anche perché i pesci “sono solo pesci” e la loro sofferenza nonché il loro ruolo fondamentale nell’ecosistema non è mai abbastanza chiaro.
(Inforgrafica: Vegolosi.it)
I dati allarmanti
L’allarme viene lanciato da molti anni, dalla FAO, dalle Nazioni Unite ma anche da attivisti che del mare sono veri capitani, come Paul Watson, fondatore di Sea Shepard organizzazione no-profit che si occupa della conservazione marina ormai dal 1977. “Considero il mangiare pesce – scrive Watson – un’azione ecologicamente irresponsabile“: ma perché? Partiamo dal saccheggio indiscriminato dei mari, compresi quelli delle coste italiane: la Commissione Europea ha stimato che il 96% delle specie di fondale del Mediterraneo è soggetta a uno sfruttamento eccessivo, mentre per gli stock di acque intermedie (come sardine, acciughe, ecc.) il sovra sfruttamento è del 71%. Cosa significa “sfruttamento”? Significa che le specie pescate non vengono sostituite da altri nuovi nati e, quindi, si va progressivamente verso l’esaurimento delle specie.
Pesce che mangia carne e carne che mangia pesce
Il pesce che finisce sulle nostre tavole non arriva solo dal mare ma anche dagli allevamenti ittici che vengono indicati in alcune inchieste come uno dei nuovi grossi guai per il nostro ambiente. Sono uno dei settori maggiormente in crescita anche nella parte più povera del mondo: sono circa 100 miliardi i pesci “prodotti” lì. Cina, Vietnam, Bangladesh, India: qui l’industria dell’allevamento ittico è in rapida, rapidissima espansione. Possiamo, però, considerarli come una “soluzione” al saccheggio dei mari? A quanto pare no, anzi. Nel libro “Farmageddon” di Philip Lymbery e Isabel Oakeshott, i dati parlano chiaro: “Gli allevamenti ittici saccheggiano gli oceani per prendere pesci piccoli che nutriranno i pesci carnivori come trote e salmoni”. Qui non se ne fa una questione etica, ma economica: si spreca pesce. Ci vogliono dalle 3 alle 5 tonnellate di pesce piccolo (pescato in mare) per produrre una tonnellata di salmone di allevamento. Nel 2008 il 23% di tutto il pesce pescato era costituito da piccoli pesci per produrre farina da utilizzare negli allevamenti: in sintesi un quinto del pescato mondiale viene usato per nutrire altri pesci. Una porzione di questo pesce e dei suoi lavorati vengono invece inseriti nei mangimi di altri animali allevati. Tutto questo ricorda molto l’assoluta follia del tasso di conversione della carne bovina: bovini e altro bestiame consumano il 70% di tutti i cereali prodotti negli Stati Uniti, per fare un esempio (Fonte: “Ecocidio” J. Rifkin, Mondadori).
Il tabù dell’Oceano
Paul Watson propone quello che definisce un “tabù alimentare”: “Dobbiamo chiudere le operazioni di pesca industrializzate per rivitalizzare la biodiversità nel mare. Dobbiamo permettere alla natura di ristabilire l’equilibrio che abbiamo danneggiato”. Niente più pesce, insomma, perché se è vero che non ci sarà più pesce nel 2048 non possiamo di certo pensare “Sarà un problema di quelli del 2048”, non c’è polvere sotto il tappeto che tenga. Il nostro sushi devasta il pianeta ed è bene saperlo. La nostra stessa sopravvivenza è legata al mare: il 70% dell’Ossigeno della terra viene dal mare, ed è sempre il mare con la sua biodiversità a regolare il clima. Sono 405 le aree definite “morte” negli oceani di tutto il mondo, quelle senza più ossigeno sufficiente per la vita. La maggior parte del pesce che non viene pescato sta morendo a causa della mancanza di ossigeno o a causa della “zuppa di plastica” che invade gli oceani. Solamente il 2% dei mari del mondo è protetto da una legislazione accurata. E per citare Toro Seduto
Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche.
Federica Giordani