“Speculare sulla pelle degli agricoltori, utilizzando il musetto di un agnello non credo sia un gesto ‘politicamente’ corretto.” Con queste parole Gabriele Avigliano, allevatore di Vaglio (Potenza) e componente Giunta nazionale Agia-Cia (Confederazio Italiana Agricoltori) è intervenuto nel dibattito sul crollo del consumo di carne di agnello nel nostro paese.
La crisi è tangibile e le mosse, politiche e non, si sono fatte sentire. Infatti, dopo che messaggi contro il consumo di carne di agnello sono arrivati anche dalla politica nazionale con la presidente Laura Boldrini (che ha adottato 2 agnelline) e il fondatore di Forza Italia Silvio Berlusconi che ne ha adottati 5 (che vivranno nel parco della sua villa ad Arcore), gli allevatori hanno alzato gli scudi : “La carne rimane una proteina fondamentale – si legge su un comunicato di CIA Basilicata comparso sul sito nazionale – per la salute e il benessere umano, oltre a impegnare nel nostro Paese un gran numero di lavoratori in 200 mila allevamenti”.
Insomma la carne va consumata perché altrimenti il settore va in crisi. Eppure le regole del libero mercato, della domanda e dell’offerta e dell’economia, non erano queste? Poca domanda da parte dei consumatori, problema sul prodotto, quindi cambio di rotta. Perché per l’allevamento dovrebbe funzionare diversamente? Il problema non sarebbe solamente la Pasqua, o meglio, la questione è proprio che la carne di agnello si mangia solo a Pasqua e Natale: troppo poco, va “destagionalizzata“. “E’ una carne magra che può essere mangiata con frequenza in tutte le stagioni dell’anno, non solo a Pasqua e a Natale. Bisogna far cambiare le abitudini dei consumatori“.
I consumi vanno reindirizzati. Poco importa se la scelta è sempre più netta, bisogna far cambiare idea a chi acquista, e come? Un’idea arriva da Enrico Rabazzi, vicepresidente Cia Toscana, ossia iniziare dalle mense scolastiche: “L’agnello non è presente nelle mense scolastiche (a differenza di carni bianche come pollo e tacchino), in questo senso anche un impegno da parte delle istituzioni toscane potrebbe essere utile”. Ancora una volta un appello alla politica, come quello avvenuto da parte di Elide Stancari alla Commissione Europea, poche settimane fa.
Come poter far cambiare idea ai consumatori dopo che le immagine della periodica mattanza degli ovini e caprini ha fatto il giro dell’intero paese grazie anche alle immagini delle associazioni animaliste? Che cosa poter dire per cancellare quell’orrore dagli sguardi di milioni di persone? La CIA con Robazzi ci prova: “Non facciamo il bene degli agnelli perché molti rischiano di essere soppressi al momento in cui nascono, proprio perché non c’è attività economica. Ricordiamo infatti che se vogliamo il latte la pecora deve partorire. Il messaggio che dobbiamo dare deve essere quello di consumare agnelli, consumarne di più anche per l’alto valore nutrizionale di questa carne. Non accettiamo queste campagne strumentali e improvvisate”.
Insomma, il bene degli agnellini è essere sgozzati dopo, non subito, sempre se vogliamo il latte, chiaramente. Argomentazioni un po’ troppo deboli che sottintendono sempre una sola cosa: il consumatore è una sorta di “burattino” a cui raccontare solo ciò che è più comodo, ma l’aria sta cambiando.