“Nella logica capitalistica, che prospera sulla miopia e sull’insoddisfazione, potrebbe esserci qualcosa di pericoloso in un’attività così mediocre come non fare niente”. Così scrive nell’introduzione del suo libro Jenny Odell, scrittrice, artista e docente alla Stanford University. Il suo Come non fare niente. Resistere all’economia dell’attenzione (Hoepli, 2021) non vuole infatti essere un’apologia del relax o di una vita trascorsa distesi sul divano a guardare serie tv. Il suo “non fare niente” presuppone in realtà un piano d’azione perché il punto di arrivo non è un weekend di digital detox, da cui tornare più produttivi di prima, bensì «distogliere il focus dall’economia dell’attenzione e applicarlo invece al mondo fisico e pubblico».
Schiavi dell’economia dell’attenzione
Odell nel suo saggio punta il dito contro l’economia dell’attenzione, un sistema in cui il nostro tempo e l’attenzione sono l’unica moneta. Su questa struttura si basano i social media che ci vogliono connessi 24 ore su 24, schiavi delle notifiche e delle ultime news. L’autrice spiega che a essere negativi non sono i social in sé, quanto la logica che ci costringe a vivere in un perenne stato d’ansia e distrazione. La sua battaglia per “non fare niente” è quindi un tentativo di “resistenza” a un sistema capitalistico, in cui il valore di un individuo è determinato solo dall’efficienza. Una resistenza che è anche un rifiuto perché, proprio come il Bartleby protagonista del racconto di Melville, che rispondeva a tutto “Preferirei di no”, anche noi dovremmo essere liberi di rifiutare la logica malsana su cui si fonda la società, in cui il niente non è tollerabile perché, non rientrando nel quadro di riferimento capitalista in cui tutto deve portare a risultati concreti, non è quantificabile.
Più attenzione all’ambiente e meno ai social
La soluzione non è una fuga dal mondo, ma un’immersione più profonda in esso. Resistere all’economia dell’attenzione significa riconnettersi con lo spazio e il tempo prestando loro le dovute cure. Odell sottolinea quanto il riappropriarsi dei propri tempi sia strettamente legato anche al benessere dell’ambiente. L’autrice parla di “bioregionalismo” che riguarda la consapevolezza non solo delle molte forme di vita di ogni luogo, ma anche delle modalità in cui sono correlate tra loro e con gli esseri umani. Alla logica secondo cui l’ambiente non è altro che l’ennesimo luogo da sfruttare, l’autrice contrappone una visione basata sulla cura e sul riconoscere l’ecosistema come un qualcosa di vivo, degno di rispetto e di attenzione profonda. Perché l’osservazione (e quindi la possibilità di identificarsi con il luogo) e la responsabilità verso l’ecosistema sono connessi in maniera indissolubile.
Una scelta attiva per riappropriarsi dei propri tempi
Il “non fare niente” è quindi un esercizio di ascolto profondo che, lungi dall’essere una soluzione dettata dalla pigrizia, è invece una scelta attiva che rifiuta la produttività per permettersi di osservare e combattere le ingiustizie ambientali, economiche e sociali. L’autrice confessa di aver trovato il proprio spazio contemplativo nel birdwatching, attività che è l’esatto opposto della frenetica vita online, perché fatto di pause, attese e di una riscoperta dei cinque sensi per captare ciò che la natura ha da offrire. L’autrice suggerisce di proteggere i nostri spazi e il nostro tempo ma anche «la nostra animalità umana contro tutte le tecnologie che attivamente ignorano e sdegnano il corpo, i corpi degli altri esseri e il corpo del paesaggio in cui abitiamo».
A guidarci deve essere la volontà continua e tenace di distogliere l’attenzione indirizzandola altrove. La società ha bisogno della nostra partecipazione e la rinuncia totale sarebbe sbagliata. Odell ci invita a fare un passo indietro, ad allontanarci per poter contemplare meglio, per ascoltare e quindi partecipare, decidendo chi sentire e a chi dare potere d’azione. Solo così potremo esercitare l’attenzione in modo più intenzionale, senza che siano gli altri a decidere al posto nostro.
di Francesca Isola