Una nuova legge in Francia vieta di “descrivere, commercializzare e promuovere prodotti contenenti proteine vegetali oltre una certa soglia” (limite non ancora stabilito) con denominazioni solitamente associate a prodotti di origine animale. Ecco che uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni, torna alla ribalta con questa nuova decisione che segue altre a livello europeo, anche se la Francia è il primo paese a farne una legge vera e propria.
Cosa significa?
Oltralpe, quindi, in base a questa legge entrata in vigore il 10 giugno scorso, i prodotti di origine vegetale come burger, polpette, o affettati, non potranno più chiamarsi così né sulle confezioni né, chiaramente, potranno essere definiti tali in pubblicità e azioni di marketing. Il motivo? Sempre lo stesso: non generare confusione nei consumatori.
“I nomi utilizzati per designare prodotti alimentari di origine animale non possono essere utilizzati per descrivere, commercializzare o promuovere prodotti alimentari contenenti proteine vegetali. Un decreto stabilisce la proporzione di proteine vegetali oltre la quale tale denominazione non è possibile. Il decreto stabilisce inoltre le modalità di applicazione del presente articolo e le sanzioni previste in caso di inosservanza. – Il testo della legge francese
Chi si oppone?
Secondo l’Unione Vegetariana Europea questa legge, che come obiettivo avrebbe la trasparenza sulle denominazioni e sull’origine dei prodotti, “creerà l’esatto contrario ossia complicazioni e opacità sui prodotti alimentari”. Per questa ragione la UVE ha già presentato una denuncia alla Commissione Europea la cui risposta potrebbe arrivare nei prossimi giorni. Secondo i vegetariani europei, infatti: “L’immagine del consumatore credulone, incapace di discernere un prodotto alimentare a base di carne da uno vegetale – anche se chiaramente distinto dal nome del prodotto – è paternalistico, nel migliore dei casi, e un insulto nel peggiore”.
La denuncia fatta dalle associazioni europee, punta il dito sul processo opposto, quindi, e sulla ormai “storicità” delle denominazioni. “Cotoletta vegetale” o “Burger di tofu” sono ormai entrate nel linguaggio comune e risultano chiare per i consumatori che verrebbero confusi proprio dalla situazione opposta. Inoltre la EVU ha spiegato che non esistono prove a sostegno di una possibile “confusione” da parte di chi acquista: “Le prove provenienti da altri Stati membri dell’UE suggeriscono il contrario: uno studio condotta dalla Federazione delle organizzazioni dei consumatori tedeschi (Vzbv) ha dichiarato che solo il 4% dei clienti tedeschi hanno acquistato involontariamente un prodotto vegetariano al posto di un prodotto a base di carne o viceversa. Questo numero molto basso illustra che quell’etichettatura non sono affatto problematici per il grande pubblico”.
I precedenti
La questione della denominazione dei prodotti vegetali è una vecchia storia. Già sui prodotti lattiero caseari e i suoi “gemelli” vegetali, l’Unione Europea si era espressa nel 2017 con una sentenza: “I prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come «latte», «crema di latte o panna», «burro», «formaggio» e «yogurt», che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale”.
Ma a livello europeo sul tema del “meat sounding” invece, ossia sulla possibile confusione fra un ragù vegetale e uno di manzo, per esempio, l’Europa si era già espressa in contraddizione, sostenendo che il problema non sussiste, non esistendo nessun inganno al consumatore grazie all’elenco degli ingredienti in etichetta. Insomma, latte di riso no, ma bistecca di soia sì per l’Europa. Bisognerà vedere che cosa ne sarà del “salame di cioccolato”.