Circolavano da qualche giorno alcune voci, ma adesso la testata Vegeconomist ha riportato la conferma direttamente dalla sede della multinazionale svizzera: Nestlé ha deciso di investire e lavorare in collaborazione con la israeliana Future Meat Company alla produzione e alla vendita di carne coltivata in laboratorio.
Il mese scorso, Future Meat ha aperto, infatti, quello che ha dichiarato essere il primo impianto di carne coltivata a livello industriale nel mondo. Produrrà 500 chilogrammi di carne coltivata al giorno, equivalente a 5000 hamburger, destinati al mercato statunitense e con l’intenzione di raggiungere la vendita al dettaglio negli Stati Uniti entro la fine del 2022.
L’impianto è attualmente in grado di produrre pollo, agnello e maiale in coltura e sta lavorando alla produzione anche di carne di manzo. Si può supporre, dal momento che Nestlé ha dichiarato che la partnership è già operativa, che questa accelerazione per la food tech company abbia alle spalle proprio i fondi Nestlé.
Che cos’è la carne coltivata?
La carne creata in laboratorio non è altro che un prodotto che viene realizzato partendo da cellule di origine animale che vengono fatte riprodurre in determinate condizioni controllate al fine di generare un tessuto muscolare con le medesime caratteristiche che avrebbe se provenisse da un animale vivo. Anche in Italia – ne abbiamo parlato qui – si sta lavorando a questo tipo di progetto e il primo obiettivo non è quello di creare una carne eticamente accettabile, bensì di trovare un sistema di produzione di un bene consumato da miliardi di persone (in quantità enormi e spesso eccessive secondo le linee guida della salute suggerite a livello internazionale) ma che impatta in modo enorme sulla crisi climatica. Si lavora, quindi, ad un sistema per produrre carne che sia equivalente a quella proveniente da animali vivi – allevati per essere poi macellati – ma che impatti in modo minore sul clima.
La carne coltivata è utile?
Senza dubbio si tratta di una strada interessante perché il problema principale a livello mondiale è il consumo enorme di proteine di origine animale nella parte ricca del mondo, e il suo impatto sull’ambiente a causa dei metodi di produzione. Trovare un sistema alternativo per crearla e che possa essere scalabile economicamente – facendo in modo che un burger non costi 20 mila dollari come il primissimo realizzato nel 2013 da Mark Post – e che sia, quindi, competitivo non solo nel sapore e nella texture ma anche nel prezzo con la carne “classica”, è determinante per imboccare un’altra strada verso la soluzione globale alla crisi climatica.
Non si tratta dell’unica strada e sappiamo che un primo percorso – sul piano alimentare – sarebbe quello di virare verso un’alimentazione 100% vegetale, ma sappiamo anche benissimo che i numeri delle persone che scelgono di cambiare la propria alimentazione, sono decisamente piccoli anche se sempre in crescita.
La multinazionale svizzera, quindi, continua il suo percorso verso l’apertura al mercato delle alternative proteiche, iniziato qualche anno fa con la produzione di una serie di alimenti vegetariani e vegani di origine completamente vegetale.