È stato il team di ricerca del Laboratorio di Igiene ambientale e degli alimenti dell’Università di Catania ad indagare per primo l’ipotesi della presenza di microplastiche all’interno di frutta e verdura. L’ipotesi, ora, non è più tale perché i risultati hanno confermato la notizia ed è la prima volta nel mondo che questo accade.
Cosa dice la ricerca?
Pubblicata anche sulla prestigiosa rivista peer reviewed Environmental Research (Elsevier), lo studio ha analizzato con un sistema complesso e altamente tecnologico, 36 campioni fra lattuga, carote, mele, broccoli, patate e pere (6 per ogni tipo) acquistati in sei diverse zone e 6 diversi negozi della città di Catania. “I dati mostrano una contaminazione variabile con dimensioni medie delle microplastiche da 1,51 a 2,52 microns e un range quantitativo medio da 223mila (52.600-307.750) a 97.800 (72.175-130.500) particelle per grammo di vegetale rispettivamente in frutta e verdura“.
Come succede che la plastica “entri” in frutta e verdura?
Il sistema di contaminazione non è ancora del tutto chiarito ma l’ipotesi più probabile è che la contaminazione da microplastiche avvenga attraverso l’acqua assorbita dalle radici di frutta e verdura. Questo sarebbe confermato dalla presenza maggiore di residui nella frutta che, provenendo dagli alberi ha più esposizione a causa del radicamento maggiore delle piante. Infatti fra i vari campioni sono state riscontrate alcune differenze. La prima è, appunto, che la frutta analizzata (mele e pere) risulta più contaminata della verdura; la seconda che fra i due campioni della frutta sono le mele quelle maggiormente esposte alle microplastiche; la terza che fra le verdure quella più contaminata è la carota, mentre quella meno contaminata è la lattuga.
“Possiamo ipotizzare che i frutti contengano più MP non solo a causa dell’altissima vascolarizzazione della polpa del frutto – si legge sempre nella ricerca – ma anche a causa delle maggiori dimensioni e complessità dell’apparato radicale e dell’età dell’albero (diversi anni) rispetto agli ortaggi (60 –75 giorni per la carota). Inoltre, la carota ha piccoli peli microscopici all’esterno dell’epidermide della radice centrale; questi servono ad aumentare la superficie della radice, ma sopravvivono solo per pochi giorni”.
Cosa significa questa notizia?
Si tratta dell’ennesima conferma della pervasività dell‘inquinamento da plastica che sta soffocando il pianeta. “Ne sono state ritrovate nell’acqua, nelle bevande come soft drink e birre, nelle carni di animali marini e in molti altri alimenti, compreso il sale – come sottolinea anche il mensile Il Salvagente.
“Sono risultati che ci aspettavamo” ha spiegato la professoressa Margherita Ferrante, che ha diretto lo studio. “Già altre ricerche avevano dimostrato che le microplastiche penetrano nelle piante attraverso le radici e possono quindi essere assorbite dalla pianta, finendo nella polpa e nei tessuti vegetali. Ora è necessario capire quali sono i possibili effetti delle microplastiche sulla salute umana”.
Questo, infatti, è un dato che non è ancora stato indagato in modo approfondito: sappiamo quindi con certezza che le microlpastiche sono in parte del cibo che mangiamo, sappiamo anche quante, ma non sappiamo quali siano le reali implicazioni sulla nostra salute o su quella degli animali che si nutrono di questi alimenti o delle piante.
Cosa possiamo fare da subito?
La prima cosa da fare è non ignorare le questioni ambientali e soprattutto quelle relative alla necessità di diminuire (se non di azzerare) il consumo di plastica che facciamo quotidianamente. L’educazione ad un consumo più intelligente e a minor impatto ambientale è fondamentale ed è possibile iniziare seguendo delle semplici regole che vi elenchiamo nelle guide pratiche che trovate qui sotto:
- Usare meno plastica in casa: 11 consigli pratici
- Usare meno plastica in bagno: ecco come fare
- Usare meno plastica in cucina: cosa devi sapere
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