La plastica è arrivata anche sulla vetta più alta della Terra. Nonostante i suoi 8850 metri di altezza, negli ultimi anni, escursionisti e scalatori provenienti da tutto il mondo sono aumentati a dismisura.
È proprio l’ingente numero di visitatori ad aver causato seri danni ambientali, una vera e propria discarica a cielo aperto, composta da vecchie tende, corde, bottiglie di ossigeno usate e altri rifiuti di vario genere fra i quali anche sigarette e scarti alimentari. Per ridurre il numero di rifiuti abbandonati, all’inizio del 2020, il Governo nepalese, insieme al Comitato per il controllo dell’inquinamento di Sagarmatha (il nome con cui i nepalesi chiamano l’Everest), ha stabilito il divieto di plastica monouso nella regione dell’Everest e avviato una raccolta di rifiuti che ha visto l’impiego dell’esercito.
Qualche settimana fa, al problema dei rifiuti abbandonati da escursionisti e scalatori durante le loro spedizioni in alta quota, si è aggiunto quello della presenza di microplastiche che un gruppo di ricercatori dell’università di Plymouth, nel Regno Unito, ha trovato nella neve e nelle acque nei pressi dell’Everest. L’allarme circa la presenza di piccoli frammenti di plastica con diametro inferiore a 5 mm è stato lanciato da uno studio pubblicato lo scorso 20 novembre sulla rivista scientifica One Earth.
I risultati della ricerca
La ricerca è stata effettuata tra aprile e maggio del 2019 con l’obiettivo di misurare la concentrazione di contaminazione di microplastiche sul monte Everest. A questo scopo sono stati prelevati campioni di acqua corrente e di neve presenti dal Campo Base, la struttura da cui partono tutte le spedizioni alpinistiche, fino al cosiddetto Balcone, a pochi metri dalla cima.
Dall’analisi dei campioni è emerso che la più alta concentrazione è stata trovata nel Campo Base, quella più bassa sul Colle Sud, il punto più basso della cresta che unisce l’Everest e il Lhotse, la quarta montagna più alta del mondo.
La quantità trovata all’interno dei campioni variava tra 3 e 119 microplastiche per litro, con una media di 30 microplastiche. A questo dato sconcertante, si è aggiunto il fatto che i campioni di neve, non solo avevano concentrazioni più elevate di microparticelle, ma avevano anche una gamma più diversificata di polimeri (poliestere, acrilico, nylon e polipropilene) rispetto ai campioni di acqua corrente, in cui è unicamente stata rilevata la presenza di poliestere e acrilico.
Il poliestere è stato il polimero rinvenuto in quantità più abbondanti (56%), seguito da acrilico (31%), nylon (9%) e polipropilene (5%).
Nonostante la consapevolezza dei ricercatori di aver raccolto un numero non sufficientemente grande di campioni, questo a causa delle difficoltà nel trasporto, in termini sia di costi che di peso e volume dei contenitori contenenti i campioni, i risultati ottenuti sono statisticamente robusti e, di conseguenza, il problema delle microparticelle trovate sull’Everest non può essere ignorato. Anzi, l’idea è di richiedere ulteriori studi aggiuntivi che possano confermare quanto appena scoperto.
Life in plastic, it’s not fantastic
Lo studio ha reso noto, inoltre, che i polimeri presenti nei campioni prelevati sono utilizzati prevalentemente per la realizzazione dei materiali impiegati dagli escursionisti e dagli scalatori durante le loro missioni. Poliestere, acrilico, nylon e polipropilene sono tutti polimeri contenuti in varia misura nell’abbigliamento sportivo, nelle tende, nelle corde da arrampicata, nelle bandiere e, in generale, nella maggior parte dell’attrezzatura di montagna. Questi materiali plastici vengono scelti perché flessibili e durevoli.
I problemi rappresentati dalle microplastiche sono principalmente due: innanzitutto, esse sono persistenti e difficili da rimuovere, anche a causa della loro ridotta dimensione. Inoltre, queste microparticelle possono essere rilasciate direttamente in atmosfera, attraverso correnti d’aria. Per esempio, diversi studi hanno dimostrato che anche le aree più remote della terra possono diventare meta per l’accumulo di particelle trasportate dal vento e dalla pioggia.
L’ubiquità della plastica
Così piccole ma così invadenti, le microplastiche rappresentano ormai un pericolo per l’ambiente e per la salute umana. Riguardo quest’ultima, una ricerca effettuata recentemente dall’Università di Catania ha indagato per prima la presenza di microplastiche all’interno di frutta e verdura, dopo aver analizzato campioni costituiti da lattuga, carote, mele, broccoli e pere.
Nonostante l’analisi dell’impatto che le microplastiche possono avere sulla salute umana sia ancora in fase di avvio, l’ingestione o l’inalazione di queste microparticelle da parte dell’uomo inizia a preoccupare la comunità scientifica. Il rischio è legato alla tossicità chimica dei materiali di cui le microplastiche sono composte che, se ingeriti o inalati, potrebbero portare danni seri all’organismo.