Sembra non avere fine la diatriba fra una mamma di Merano e il comune della città che, dopo aver garantito il menu vegan al figlio della donna durante il nido (dopo una battaglia legale) ha deciso di negarlo alla scuola dell’infanzia. La storia è stata raccontata dal legale della donna, l’avvocato Carlo Prisco che segue spesso casi legati alla scelta alimentare (negata) vegana.
La storia della disputa legale inizia nel 2015, quando il Comune di Merano espelleva dal nido un bambino vegano poiché sua madre si era rifiutata di depositare un certificato medico che attestasse la buona salute e di effettuare controlli clinici periodici, in quanto tali misure contrastavano con il dettame delle Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica emanate nel 2010 dal Ministero della Salute dove si può leggere
Vanno assicurate anche adeguate sostituzioni di alimenti correlate a ragioni etico-religiose o culturali. Tali sostituzioni non richiedono certificazione medica, ma la semplice richiesta dei genitori
Nello stesso anno il TAR da ragione alla madre del bambino con la sentenza n. 245/15 condannando il Comune a riammettere definitivamente il bimbo (già riammesso, con dieta vegana, in virtù di un provvedimento temporaneo e urgente in corso di causa), erogando il pasto vegano senza alcuna certificazione.
La brutta sorpresa arriva, però con il passaggio del bambino dal nido alla scuola dell’infanzia (nello stesso comune di Merano): il menu vegano, che l’anno precedente era indicato nella lista delle possibili scelte alimentari, era sparito del tutto (restava solo quello vegetariano). Secondo il racconto del legale il Comune avrebbe lamentato la difficoltà nel garantire “troppe opzioni alimentari” e “si è professato preoccupato per lo squilibrio della dieta vegana, sta dando al piccolo solo pasta in bianco o riso in bianco.
L’avvocato ha commentato la vicenda: “Preoccupa la condotta di una pubblica amministrazione locale, che contrasta non soltanto con linee guida ministeriali, di portata nazionale, ma perfino con apposite note interpretative e di richiamo, e – addirittura – con una sentenza del TAR che si è già pronunciato sulla questione, tra le medesime parti. La mia assistita sta valutando l’opportunità di procedere anche penalmente, per omissione e/o abuso di atti d’ufficio, da parte dei pubblici ufficiali coinvolti nella vicenda, e ha già deciso di impugnare dinanzi al TAR questa ulteriore decisione ingiustamente vessatoria.