Questa puntata dello speciale dedicato alle riflessioni sul tema del veganesimo, Vegolosi.it ha il piacere di ospitare Massimo Filippi, professore ordinario di Neurologia che si occupa da anni della questione animale da un punto di vista filosofico e politico, è membro della redazione di Liberazioni. Rivista di critica antispecista, socio fondatore dell’associazione Oltre la Specie e autore di numerosi volumi che ci segnaliamo alla fine del pezzo. Nel suo intervento la differenza fra “vegani/vegane” parte dall’idea che le donne nel movimento antispecista costituiscano una presenza forte e concreta, sono prevalentemente loro a profondere sforzi ed entusiasmo in questo percorso. A ciò si aggiunga che l’antispecismo è fortemente legato, tra le altre cose, alla critica dell’identità di genere. Ecco la sua riflessione realizzata per il nostro magazine online.
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Purtroppo essere vegani serve a tante cose: a vendere, a far carriera, a guadagnare, a occupare una nicchia in un mercato piccolo ma in crescita, a crearsi un immaginario identitario di purezza morale, a raccontarsi belle storie, tipo che la scelta vegana di pochi occidentali privilegiati è ciò che salverebbe il mondo dalla rovina in cui è sempre più immerso. In breve, anche se non dovrebbe essere così, il veganismo è facile preda del sistema “digestivo” capitalistico e molti vegani non solo non cercano di sottrarsi a questa “assimilazione”, ma addirittura la salutano in maniera entusiastica. Dietro a tutto questo si nasconde la favola secondo cui sarebbe la progressiva somma di stili di vita individuali ciò che un giorno si tradurrà in un radicale cambiamento sociale a favore dei non umani. Favola a dir poco ingenua dal momento che non tiene conto dei meccanismi economici che regolano e governano le scelte di vita individuali e del fatto che per ogni nuovo vegano “arrabbiato” il sistema “produce” decine di vegani “addomesticati” e milioni di carnivori. In questo senso, il veganismo «serve»: è utile a produrre utili.
Fortunatamente, essere vegane è qualcosa di completamente differente. Essere vegane, quindi, corrisponde a essere “guastafeste”, disturbanti, inquietanti, fastidiose; corrisponde a una presa d’atto politica intesa a mettere in crisi l’ordine sociale fondato sullo smembramento dei corpi e sulla cancellazione della sensualità animale. Essere vegane è un coming out che afferma a chiare lettere la solidarietà nei confronti dei corpi che non contano che ogni giorno vengono smaterializzati con violenza inaudita. Vuol dire disfarsi di identità rigide a favore di un continuo processo di differenziazione ibridante. Essere vegane è sinonimo di divenire animale volto a ricomporre l’infranto. Questo veganismo altro non «serve»: non produce utili in quanto in perenne movimento di transizione desiderante. È dono, potlach, dépence. È rendersi inoperose per profanare l’oscenità delle lame taglienti della struttura sacrificale; è un atto di creazione che restituisce al comune ciò che da millenni è sottratto dentro ai templi della proprietà e delle proprietà.
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Libri di Massimo Filippi: Ai confini dell’umano. Gli animali e la morte (ombre corte 2010), Nell’albergo di Adamo. Gli animali, la questione animale e la filosofia (Mimesis 2010), I margini dei diritti animali (Ortica 2011), Natura infranta (Ortica 2013), Crimini in tempo di pace. La questione animale e l’ideologia del dominio (Elèuthera 2013), Penne e pellicole. Gli animali, la letteratura e il cinema (Mimesis 2014), Corpi che non contano. Judith Butler e gli animali (Mimesis 2015), Sento dunque sogno (Ortica 2016), Altre specie di politica (Mimesis 2016), L’invenzione della specie. Sovvertire la norma, divenire mostri (ombre corte 2016) e Questioni di specie (Elèuthera 2017).