E’ il sito dell’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura a dare la notizia sul suo sito: l’orango del Borneo è ufficialmente entrato nella fascia degli animali a rischio critico di estinzione, ossia quella che precede di soli due step l’estinzione in natura e quelle definitiva. Nessuna novità, quindi: gli allarmi sulla grave situazione in cui versano questi bellissimi animali è più che mai reale.
Come mai è successo?
Ecco cosa viene spiegato direttamente sul sito della Iucn: “Le due ragioni principali per cui la maggior parte delle popolazioni dell’orango del Borneo sono in netto calo sono, per prima, la distruzione, il degrado e la frammentazione dei loro habitat naturali e, in secondo luogo, la caccia illegale.
Incendi boschivi ricorrenti, in particolare nelle foreste torbiere (ossia foreste umide in cui la biomassa si accumula sotto il pelo dell’acqua ed è sottoposta a un lento processo di macerazione anerobica e quindi di carbonificazione, che la trasforma in torba, ndr), provocano cali supplementari circa una volta ogni dieci anni. In particolare una delle specie di orango, il Pongo pygmaeus è diminuito di oltre il 60% tra il 1950 e il 2010, e un ulteriore calo del 22% è destinato a verificarsi tra il 2010 e il 2025. Combinati insieme questi dati, portano ad un’analisi terribile: una perdita di oltre l’82% degli esemplari in 75 anni, ossia dal 1950 al 2025 “.
La deforestazione a causa dell’agricoltura e delle piantagioni di olio di palma
I dati presentati nella scheda tecnica di allarme sulla possibile estinzione definitiva dell’orango, sono incredibili: dal 1973 al 2010, il 39% delle foreste del Borneo sono state devastate, con una perdita netta di 98.730 km² di habitat per questi animali. Si stima che un ulteriore 37% di habitat idonei (ossia, circa 155.106 km²) sarà convertito in piantagioni fra il 2010 e il 2025, con un’ulteriore perdita di 57,140 km² di foreste. In sintesi quasi il 61,5% dell’habitat degli oranghi sarà perso entro il 2025.
Indonesia e Malesia sono le due zone che producono ed esportano la maggior parte dell’olio di palma (il 90% del totale nel mondo), un grasso vegetale molto ricco di grassi saturi (secondo solo all’olio di cocco) che viene utilizzato in moltissime preparazioni alimentari (dai biscotti, passando per la pizza, il latte formulato per i neonati, fino ai prodotti di bellezza): per lasciare spazio a queste coltivazioni le foreste vengono disboscate e poi incendiate.
Un disastro, quello della produzione di olio da palma, più volte annunciato e denunciato dalle associazioni e dai media che ha trovato molti riscontri nel nostro paese, soprattutto dopo le dichiarazioni dell’EFSA riguardo la cancerogenità di alcuni componenti dell’olio in questione quando viene sottoposto ad alte temperature di lavorazione, cosa che accade quasi sempre, a meno che non sia estratto a freddo.
Petizioni e dibattiti pubblici sono riusciti a smuovere molte marche della grande distribuzione (comprese Coop, Barilla ed Esselunga) facendo in modo che le ricette dei loro prodotti a marchio non prevedessero più olio di palma (che dal 2013 va indicato nelle etichette in modo obbligatorio). Purtroppo tutto questo nulla ha potuto contro la grave situazione degli oranghi che adesso rischiano davvero di essere solo immagini e ricordi sbiaditi per le nuove generazioni.
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