Documentari sugli allevamenti intensivi ne abbiamo visti a decine. Sono tanti gli attivisti e i giornalisti che si sono introdotti in queste industrie per testimoniare come i trattamenti riservati agli animali siano tremendi, disumani. Quello che presentiamo oggi, però, è un documentario un po’ diverso. Si chiama “Life According to Ohad” e non è incentrato sugli animali, sulle immagini terribili girate di nascosto sotto i capannoni, bensì sulla vita di un ragazzo israeliano, appunto Ohad. Diretto dallo scrittore e regista (sempre israeliano) Eri Daniel Erlich il film – che, sebbene abbia partecipato a diversi Festival, non è uscito in molti paesi tra cui Italia, anche se alcuni video sono presenti sulla pagina Facebook della pellicola – segue da vicinissimo le giornate di questo ragazzo, suo amico. Si parla della famiglia, delle sue incursioni negli allevamenti, ma più semplicemente si parla di un giovane con valori e principi per i quali è disposto a lottare. Lo si vede, infatti, incatenato – anche al collo – a una gabbia piena di tacchini da allevamento, o più semplicemente piangere davanti a quello che vuole documentare. Ohad, infatti, appare quasi sempre con una videocamera tra le mani.
Intervistato dall’Independent, il regista racconta di aver conosciuto Ohad quindici anni fa: a quei tempi il loro obiettivo era molto più plateale, volevano bloccare in concreto le attività degli allevamenti distruggendo e dando fuoco ai macelli. Poi si sono limitati a disegnare murales e graffiti su macelli, negozi e fast food (i cui ingressi venivano bloccati tramite manomissione delle serrature) per chiedere il rispetto degli animali. Erlich ha poi deciso di seguirlo anche nella sua vita quotidiana, prendendolo a esempio di tutte le famiglie che devono affrontare un ragazzo che cambia religione o, come in questo caso, stile alimentare: perché le due cose, per una famiglia, hanno lo stesso peso, sono accolte praticamente nello stesso modo, in entrambi i casi le nuove idee del ragazzo vanno a scontrarsi con quelli che sono i valori base del nucleo famigliare.
La storia di Ohad è tanto particolare quanto comune a molti e «diventa ancor più significativa quando si sottolinea il suo altruismo, il fatto che sta lottando per i più deboli della terra», dice il regista. Il quale dice appunto che le perplessità del padre di Ohad sono le stesse di suo padre, e questo ha fatto sì che il film fosse prima di tutto un’analisi su se stesso: «Tramite “Life According to Ohad” mi sono reso conto dell’importanza di mantenere unita la famiglia, che si trovano valori importanti in essa».
«C’è un equivoco molto profondo quando si parla degli attivisti del cambiamento sociale come Ohad e della loro sensibilità – insiste Erlich – La loro sensibilità è spesso percepita come una disconnessione dalla realtà. Ma in realtà questi attivisti sono in contatto con la realtà e con ciò che in essa sta succedendo molto più di chiunque altro»
Qui un breve trailer del film
Qui la scena in cui Ohad parla con i genitori del suo nuovo stile alimentare
Domenico D’Alessandro