Molto spesso ci capita di discutere e confrontarci con molti utenti sulla questione dell’uso di alcune parole per denominare ingredienti e piatti vegani. Si tratta di una questione talmente complessa che è diventata anche oggetto alla Corte Europea di una sentenza: l’espressione “Latte vegetale” non si può utilizzare sulle confezioni di bevande alla soia e simili, né si può utilizzare nelle pubblicità di riferimento. A tirare in ballo la vicenda sono state, manco a dirlo, le industrie casearie, ma anche sugli affettati vegetali e sugli hamburger (la parola viene da Amburgo e non da “ham”, prosciutto) di verdure, la battaglia è sempre aperta, nonostante manchi ancora una sentenza definitiva a riguardo.
Vegolosi.it negli anni ha assunto una posizione che crediamo (e speriamo) essere di buon senso e che cerca di mediare fra due obiettivi precisi: da una parte quello di arrivare a più persone possibili con la nostra comunicazione, a quelle persone che il vegano non sanno cosa sia e che hanno un po’ di pregiudizi a riguardo, dall’altra quello di allargare la cultura dell’alimentazione a base vegetale e di far conoscere nuovi termini e ingredienti.
Esiste poi una questione puramente tecnica alla quale il nostro giornale, essendo solamente online, non può sottrarsi: quella dell’indicizzazione dei nostri contenuti da parte di Google e di altri portali di ricerca.
Riteniamo che chiamare “latte vegetale” quello di soia, non sia un crimine e tantomeno pensiamo che questo non aiuti la diffusione della cultura della non violenza a tavola. Se è vero infatti che il termine “latte” richiama semanticamente ad un concetto che è quello legato alla produzione animale, è altrettanto vero che questo tipo di analisi scende ad un livello che, culturalmente in Italia ma non solo, non abbiamo nemmeno sfiorato. Il dibattito pubblico e la cultura enogastronomica è ancora ferma agli allarmi contro i vegani pericolosi perché mettono a rischio i bambini, alle battaglie su “Ma vuoi mettere una bisteccaccia al sangue?” oppure, ancora, alle diatribe sull’innaturalità di un’alimentazione che prevede l’assunzione di una singola vitamina, la B12, quando nel cibo di tutti i giorni, compresa la carne, vengono addizionate decine di vitamine e minerali.
Siamo convinti che per fare un buon servizio a quella che, con nostra grande riserva, viene chiamata “la causa vegana”, intestardirsi sul fatto che una polpetta di broccoli non possa essere chiamata così o che una pastiera senza burro e uova non sia una pastiera o, ancora, che un arrosto non lo sia se non prevede un animale bruciacchiato nel forno, non serva a nessuno; questo tipo di polemiche ce le siamo lasciate alle spalle perché sappiamo che per non rimanere sempre all’1% della popolazione in Italia che ha scelto di mangiare 100% vegetale bensì per crescere e diffondere una cultura alimentare diversa, è necessario farsi comprendere.
Forse non sapete, per esempio, che alcune delle ricerche Google più importanti nel nostro ambito sono “Hamburger vegetale” e “Hamburger vegano”? Dovremmo quindi non far comprendere a queste centinaia di migliaia di persone che sì, quella ricetta che cercano da noi (e ovviamente su tanti altri siti, giornali e blog) c’è e che la possono provare senza timore, oppure chiamarlo “Medaglione pressato di verdure con farina di ceci” avendo così cura di nasconderci per bene alla vista (e alla cultura culinaria) dei più?
In secondo luogo siamo convinti, anche grazie ai dati che abbiamo dal nostro osservatorio, che le polemiche sterili siano la cosa che più di ogni altra allontana profondamente tutti coloro che vorrebbero provare o capirne di più della scelta alimentare (e di vita) a base vegetale. Non vogliamo che succeda e non perché ci stiamo nascondendo dietro ad un dito cercando di attirare in trappola chi la pensa diversamente, ma proprio perché noi stessi prima di avere una maggiore consapevolezza di quello che portavamo in tavola, mangiavamo carne, polpette e tiramisù e quando abbiamo iniziato a cercare nuove ricette online le abbiamo cercate digitando proprio “Polpette vegane ricette”.
La “battaglia” culturale che portiamo avanti l’abbiamo spostata sul piano pratico: creare 1 ricetta ogni giorno, rivisitare la tradizione, scrivere decine di articoli di approfondimento, intervistare medici e nutrizionisti, scrivere libri, rispondere a centinaia di commenti e richieste sui nostri social. Quindi quando leggeremo “Non chiamatelo arrosto, però” o “Sì, ma non chiamatelo formaggio”, non risponderemo ma metteremo direttamente il link a questa pagina.
Siamo sinceri com voi: speriamo davvero che arrivi un momento storico durante il quale la semantica verrà prima della pancia o della tradizione, durante la quale dire “latte di soia” non sarà più necessario magari perché quello vegetale sarà l’unico latte in commercio, oppure perché, al contrario, “latte” o “polpetta” saranno parole turpi, legate ad un passato che non esiste più, ma quel momento è davvero, credeteci, molto lontano.