Per Laura Conti lottare per la tutela dell’ambiente senza occuparsi di politica, senza tenere conto delle fonti scientifiche e senza preoccuparsi della disparità sociale e farne la propria battaglia, sarebbe stato semplicemente impensabile. Le parole che scrive nella premessa di uno dei suoi ultimi libri, Questo pianeta, del 1983 ci ricordano perché è importante parlare nuovamente di una delle figure femminili italiane più controverse e dibattute del Ventesimo secolo. E per farlo non esiste modo migliore se non iniziando dalla sua storia.
Chi è Laura Conti
Nata a Udine il 31 marzo del 1921, Laura Conti visse in una famiglia antifascista piuttosto complicata, dalla quale probabilmente ereditò la vena attivista. Proprio a causa dell’impegno militante dei suoi genitori, la famiglia perse la propria azienda e per questo Laura fu costretta a trascorrere l’adolescenza trasferendosi da una casa all’altra, senza la possibilità di coltivare delle relazioni stabili. Finì dunque per trovare rifugio tra gli scaffali della libreria di casa, cui dedicava intere giornate, che le consentirono di sviluppare un amore viscerale per lo studio e la conoscenza. Laura Conti così formò sé stessa non solo come amante della scienza, della politica, ma anche come fervente femminista intersezionale. Quando però, cresciuta, decise di studiare medicina, la sua vita cambiò per sempre. Nel 1944 si iscrisse all’Università di Milano ed entrò a far parte della Resistenza aderendo al Fronte della gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà e quel primo viscerale incontro con l’impegno politico la segnò definitivamente. Assegnatole l’arduo compito di fare propaganda nelle caserme, solo pochi mesi dopo nello stesso anno venne arrestata e condotta nel Campo di transito di Bolzano nel quale, fortunatamente, stette reclusa fino alla fine della guerra e non venne mai deportata in Germania. Esperienza che la portò a scrivere uno dei suoi testi più importanti, La condizione sperimentale, pubblicato nel 1965. Dopo essere rientrata a Milano, si laureò in traumatologia e ortopedia per l’infanzia ed entrò prima nel Partito Socialista e poi in quello Comunista. Tuttavia, un evento epocale e inaspettato avrebbe stravolto nuo-vamente la sua vita di lì a poco.
Il disastro ambientale di Seveso e la svolta ambientalista
Era mattina presto quando a Seveso, il 10 luglio del 1976, da una fabbrica a Nord di Milano, l’Icmesa, fuoriuscì una nube tossica di diossina, una sostanza allora quasi sconosciuta. Conti era consigliera regionale in quel periodo e questo disastro ambientale, inserito tra i 12 peggiori della storia, le insegnò che parlare di politica era anche, e per forza, parlare di ambiente: “Il fatto di Seveso dimostra come un utilizzo economico dell’ambiente, vale a dire usarlo volontariamente o no come scarico delle sostanze nocive che si producono nelle industrie, ha danneggiato attività economiche. Quindi la preoccupazione economica e quella ambientale non sono in conflitto tra loro. La preoccupazione ambientale è anche una preoccupazione economica. È utopico pensare che non si arrivi a una mediazione tra le due e si sopravviva”.
Da quell’evento nacquero i testi Visto da Seveso e Una lepre con la faccia di bambina, che le conferirono la popolarità internazionale. Tuttavia, nonostante l’accoglienza che ricevette dalla gente del posto e l’epilogo che la vicenda ebbe anche grazie a lei (con la nascita della normativa europea sul controllo dei rischi industriali, la Direttiva Seveso), in quel periodo la sua voce iniziò a farsi scomoda. La realtà che divulgava nei libri e in televisione sulla mala gestione degli interventi di soccorso e di contenimento del disastro, e sulle conseguenze devastanti per bambini e donne in gravidanza, erano spietate contro chi voleva minimizzare il disastro ed eludere responsabilità politiche e civili.
Una voce scomoda
Nei tempi odierni che l’inquinamento e la crisi climatica abbiano delle conseguenze devastanti non solo sul pianeta ma anche sulla nostra salute, è una verità con la quale conviviamo e per la quale stiamo cercando delle soluzioni. In un periodo storico come gli anni ‘80 però, in pieno boom dei consumi e mentre l’ambientalismo veniva considerato di secondaria importanza, in Italia fu lei, precorritrice dei tempi assoluta, a portare avanti le riflessioni sulla limitatezza delle risorse e sul nesso tra sviluppo industriale e de- vastazione della natura, come scrive in Questo Pianeta: “È l’individuazione dell’agente che ha cambiato il mondo: l’agente che ha cambiato il mondo è la vita stessa; essa ha tolto all’ambiente una possibilità (la possibilità che dei viventi si originino dal non vivente) introducendovi un’impossibilità”.
La sua voce ambientalista, che poneva le radici nell’umanità che aveva tratto dall’esperienza della Resistenza, era destabilizzante, inamovibile e difficile da controbattere, anche per la sua capacità innata di rendere semplici le cose complesse. Come attivista, poi, non minimizzò mai l’impegno necessario per trattare una materia così complessa e articolata: “Per contrastare questa strana e pericolosa deriva, dobbiamo tornare a studiare e tornare a progettare il futuro, sapendo che il tempo a disposizione per cambiare rotta è poco, e si riduce rapidamente”.
Il carattere pacifico, ben lontano dal voler polemizzare, la rendeva ancora più temibile perché il suo messaggio non era di condanna. Suggeriva con voce pacata che abbracciare i limiti dell’uomo, accettare e confrontarsi con la contraddizione delle sue azioni poteva essere, ed è tuttora, una grande opportunità di riconoscersi complici e responsabili delle proprie azioni.
Esigendo che all’impegno individuale corrispondesse una precisa ed efficace azione politica che contrapponesse al consumismo e al capitalismo il benessere collettivo, si poteva davvero sperare in un’inversione di rotta.
La delusione della Lega per l’ambiente e la scomparsa dai giornali
Fu così che nel 1983 partecipò alla fondazione della più famosa Lega per l’Ambiente (oggi Legambiente) della quale fu presidente del Comitato Scientifico dichiarando quanto segue: “La motivazione che mi ha spinto a occuparmi dell’ambiente è erotica. Nel senso che io amo il sistema vivente. Lo amo per la gioia intellettuale che mi dà. Per il divertimento che provo nel cogliere i nessi”.
La Lega avvicinò immediatamente moltissime persone riuscendo a portare Laura Conti in Parlamento dall’87 al ‘91. Tuttavia, proprio quello che era nato come un movimento ambientalista, dovette fare i conti con un punto chiave: l’ecologia e lo sviluppo inteso come abuso di risorse, erano in conflitto. Quando, nel 1990, non solo prese posizione nel referendum per la caccia dichiarandosi apertamente contraria (differentemente da Legambiente, che invece era favorevole) e poi vi dedicò il suo ultimo libro, del 1992, Discorso sulla caccia, Laura Conti venne definitivamente allontanata dagli schermi e dalla stessa Lega. Instancabile lottatrice, morirà poco dopo per un malore improvviso in casa sua, il 25 maggio del 1993.
L’eredità di Laura Conti
Oggi, probabilmente, Laura Conti non solo avrebbe notorietà ma sarebbe anche amata da molti tra quelli che scendono in piazza per l’ambiente. I suoi testi, a oggi, sono una chiave di lettura importante per il presente che viviamo proprio perché ci insegnano che sebbene gli esseri umani della preistoria fossero inconsapevoli della finitezza del pianeta e degli effetti delle proprie scelte, noi oggi ne siamo consapevoli e andiamo avanti verso la catastrofe coscienti della strada intrapresa. Raccontare la storia di questa attivista, dunque, è importante non solo per aiutarci a decifrare i cambiamenti climatici e capire che il connubio politica-ambiente è imprescindibile per trovare una soluzione, ma anche per dare voce a una donna cancellata dalla storia che altro non voleva se non giustizia per il clima, per il territorio, per le donne e per la politica e che, nonostante tutto, non si è mai fermata.