Un “allevamento etico”, in cui gli animali non vengono sfruttati e la natura segue il suo corso naturale: questo è ciò che promette il caseificio toscano LatteAmore, attivo dal 2007 ad Anghiari (Arezzo), dove vengono prodotte diverse tipologie di formaggi – di capra, di mucca e di pecora – in quello che viene presentato come un ambiente assolutamente “rispettoso degli animali”. Secondo la struttura quello che avviene con gli animali è una “collaborazione uomo-animale”.
LatteAmore: in cosa è diverso dagli altri allevamenti?
Sia sulla propria pagina Facebook che sul sito, LatteAmore si presenta come un allevamento concettualmente molto diverso dagli altri: garantisce di utilizzare per la produzione di formaggi (realizzati con caglio vegetale) solo ed esclusivamente il latte in esubero, quello che capre e mucche continuano a produrre negli 8-10 mesi successivi allo svezzamento dei piccoli. In più, viene garantito che mai i cuccioli vengano allontanati dalle madri, né tanto meno che gli animali improduttivi vengano venduti o mandati al macello.
Gli animali presenti sono molti: tra 50 fra tori e mucche e 2000 tra capre, becchi, pecore e montoni, circa la metà risultano produttivi, mentre gli altri sono esemplari giovani oppure anziani e malati. Questi ultimi rimangono nell’allevamento insieme agli altri, curati e accuditi fino alla morte naturale. Allo stesso modo, anche le gravidanze portate avanti nell’allevamento sono garantite come naturali, tanto che gli animali non possono averne più di tre nel corso della loro vita (in media 15 anni).
Tutto questo, sottolineano i proprietari, vale per tutti gli animali presenti nella struttura, anche se sul sito si parla principalmente di capre; questo perché l’allevamento di mucche è iniziato più tardi e “il sito non è stato ancora aggiornato”. Sia l’allevamento che il caseificio sono visitabili previo appuntamento, i formaggi sono acquistabili online e LatteAmore è alla ricerca di allevatori e rivenditori in tutta Italia che sposino questa filosofia innovativa.
La vicenda giudiziaria
La struttura è stata oggetto di un sequestro con successivo dissequestro da parte dei NAS e dei carabinieri forestali di Arezzo, con ipotesi di reato che comprendono il maltrattamento animale, l’uccisione di animali conseguente al maltrattamento e il commercio di sostanze alimentari nocive come confermato alla nostra redazione direttamente dagli stessi NAS. Quando la vicenda abbia preso inizio non è chiaro e le fonti discordano.
“Il nostro è un allevamento particolare, diverso da tutti gli altri – ha dichiarato Luca, il proprietario dell’azienda, ai nostri microfoni – e il fatto che nessuno dei nostri animali venga ucciso e mandato al macello comporta ovviamente che nella nostra struttura siano presenti anche animali anziani o malati. L’intervento ASL è comprensibile, è giusto effettuare dei controlli laddove ci siano realtà poco note o particolari, ma lo consideriamo un sequestro cautelare” afferma.
Nessun maltrattamento, dunque, secondo i proprietari della struttura, ma piuttosto controlli di routine per quello che è un allevamento con caratteristiche molto particolari rispetto a quelli presenti nel resto d’Italia. “La nostra attività non si è mai fermata – continua il proprietario – e questo è sicuramente sintomo del fatto che le autorità non abbiano riscontrato niente di irregolare. I nostri animali non sono mai stati allontanati dalla struttura, stanno benissimo e invitiamo chiunque lo desideri a visitare il nostro allevamento per constatarlo di persona”.
Per quanto riguarda la questione dell’ipotesi di reato sul commercio di sostanze alimentari nocive, tutto sarebbe partito da alcune forme di formaggio di capra realizzate, secondo l’allevatore, quando ancora la struttura non commercializzava questi prodotti. “All’epoca avevamo accolto alcune capre da un altro allevamento e abbiamo effettuato dei normali controlli sul loro stato di salute. Da questi è emersa la presenza del batterio coxiella burnetii, potenzialmente dannoso per l’uomo, ma che è presente quasi sempre negli animali da allevamento”. Da lì, secondo l’allevatore, sarebbero scattati i controlli anche sull’allevamento, con il prelievo di alcuni campioni di formaggio caprino non destinato alla vendita. “Su 200 forme da circa un etto presenti nella struttura (che secondo i NAS sono comunque in numero troppo elevato per essere destinate alla sola autoproduzione, ndr), sono stati analizzati circa 30 campioni, dei quali uno solo presentava il batterio, tra l’altro inattivo”, dichiara.
Ad oggi, il procedimento è ancora in corso, come ha confermato ai nostri microfoni il legale che rappresenta i proprietari dell’allevamento, l’avvocato Francesco Cherubini, che in ogni caso si dice fiducioso sull’esito della vicenda: “Tutto si risolverà nel migliore dei modi”. La nostra redazione è in contatto con il legale per ulteriori dettagli e chiarimenti sulla vicenda che arriveranno nelle prossime ore.
Allevamento etico: è polemica sul web
Per molti animalisti e vegani, accostare la parola “allevamento” al concetto di eticità è poco meno di un ossimoro, tanto che da qualche giorno sul web è scoppiata una polemica riguardo a questo tipo di attività. C’è infatti chi sostiene che già solo il concetto di allevamento a scopo alimentare non si possa considerare etico, ma come rispondono i proprietari di LatteAmore a questa obiezione? Ai nostri microfoni Elena, responsabile della comunicazione dell’azienda, ha spiegato che “si tratta di collaborazione uomo-animale. È ovvio che in un’ottica “estremista” anche la nostra attività possa essere considerata sfruttamento, ma noi utilizziamo davvero solo quello che agli animali non serve. Nell’80% dei casi le femmine producono più latte di quello che serva ai piccoli e noi impieghiamo solo quello; quando la produzione di latte cala, gli animali vengono messi in asciutta e continuano la loro vita nell’allevamento”.
Il modello economico
Com’è possibile, però, che un allevamento del genere sia sostenibile a livello economico? “Il numero degli animali nel nostro allevamento è sempre costante – spiega Elena – a differenza di quello che accade in un allevamento intensivo; calibriamo le nascite e le morti in modo da dover mantenere sempre più o meno lo stesso numero di capi. I più, tutti i nostri animali vivono all’aperto per la maggior parte dell’anno, il che ci consente di abbattere notevolmente i costi per la loro alimentazione. Per finire, i nostri formaggi hanno un prezzo 3/4 volte più elevato di quelli abitualmente in commercio; grazie a questi introiti maggiorati e a quelli derivanti dagli ingressi delle persone che vogliono visitare l’allevamento – e avvalendoci spesso del contributo di volontari che non vengono retribuiti – ci è possibile mantenere un allevamento del genere, anche con un numero considerevole di animali improduttivi come i maschi e gli anziani”.
A questo si aggiunge che, in questo tipo di attività, è il consumatore a doversi adattare alle esigenze dell’allevatore e non viceversa: “Vendiamo per lo più a privati che acquistano piccole quantità di formaggio – afferma Elena – e può capitare che siamo obbligati a ritardare le spedizioni perché i prodotti non sono pronti o non abbiamo ricavato abbastanza latte per rispondere alla richiesta di quel momento. Chi decide di acquistare da noi ne è consapevole fin dall’inizio e pensiamo sia anche il bello di un allevamento di questo tipo” conclude.
Allevamento etico, latte in esubero: il parere del veterinario
Il dottor Enrico Moriconi, veterinario e garante per i diritti animali della regione Piemonte, ha spiegato a Vegolosi.it: “Sulla carta un tipo di allevamento del genere è possibile perché il latte in esubero (o latte residuale) effettivamente viene prodotto per qualche mese dagli animali anche dopo lo svezzamento dei cuccioli, per poi andare gradualmente a scomparire”.
“Quanto ne venga prodotto, poi, dipende da molti fattori, non ultimo la razza degli animali e gli animali stessi come individui. Personalmente, però, visti i costi di mantenimento degli animali – specialmente quelli improduttivi – non credo che si tratti di un’attività redditizia e nemmeno riproducibile su larga scala, dal momento che viviamo in una società che necessita di grandi quantità di prodotti a poco prezzo. Ciò detto, in linea di principio, questo allevamento risulta possibilissimo” conclude.
Il dibattito rimane aperto.