In uno degli ultimi testi teatrali di Alessandro Baricco, “Smith & Wesson“, il metereologo Smith spiega: “Le parole sono piccole macchine molto esatte, mi creda, se uno non le sa usare, tanto vale che non le usi, è meglio per tutti che si rassegni a restare quello che è […]”. Ogni volta che guardo le trasmissioni televisive che si occupano in un modo o nell’altro di scelta vegana, questa frase mi torna in mente e penso che, no, quelle macchine, in tv non le sanno usare, o forse, non è permesso saperle utilizzare, o forse è molto meglio utilizzarle male.
Ieri, 10 Aprile 2017, è stata una serata televisiva densa: su Rete 4 è andato in onda “Quinta Colonna“, talk show condotto pessimamente da Paolo Del Debbio, giornalista e professore universitario di “Etica ed Economia” allo IULM di Milano, su Rai 2 è stato trasmesso, invece, il quinto e penultimo appuntamento di “Animali come noi”, trasmissione tv condotta da Giulia Innocenzi, con una puntata dedicata ai cacciatori.
Oltre alla solita caciara ignorante del talk show (nel primo caso) e alla parte sufficientemente inutile sulla sequela di insulti più o meno gravi lanciati da un gruppo di animalisti davanti ad una fiera veronese internazionale dedicata alla caccia (nel secondo caso), quello che più mi ha fatto davvero arrabbiare è stato, ancora una volta, l’uso delle parole. Quello che è sempre più chiaro, o che dovrebbe esserlo, è che cacciatori, allevatori, macellai, carnivori convinti, allevatori di pellicce, ristoratori, venditori di pistole e fucili, produttori di carne e aziende che la vendono, non usano mai le parole giuste per raccontare un fatto che non può essere contestato: si uccidono degli animali senza motivo per piacere o per soldi.
Continuiamo. Perché quando si parla di animali al macello si usa il termine “trattare l’animale“? Non c’è nessun trattamento: l’animale viene allevato in condizioni per l’80% lontane da ogni pietà e fatto dissanguare spesso ancora cosciente, per essere poi tagliato a pezzi e venduto. Questa è la realtà, sono i fatti. Si chiama uccidere un animale per venderne la carne. Perché, di nuovo, parlare di “benessere animale“? Che cosa c’è di piacevole e naturale per un visone nello stare in una gabbia senza toccare mai il terreno con le zampe, mangiando da una ciotola di plastica e facendo il nido un una cassetta coperta di paglia? Che cosa c’entra il benessere etologico con un vitello munito di una piastra in plastica al naso che gli impedisce di succhiare il latte dalla madre? Come possiamo farci prendere in giro in questo modo? Lasciamo da parte il vegano, il vegetariano, qui si tratta anche di buon senso e di orgoglio ferito: il consumatore o il telespettatore viene trattato come un vero cretino.
Perché ci facciamo raccontare dalle confezioni di prosciutto, salame, arrosto e quanto altro che il maiale non potrebbe essere più felice di così, perché ci facciamo raccontare da un allevatore, sempre durante un dibattito tv, che “la mucca non pascola”?Perché giriamo gli occhi dall’altra parte quando ci mostrano come funziona un macello?
Se mangiare carne è naturale, se lo si è sempre fatto, se fa bene alla salute, se nessuno deve dire agli altri come vivere, perché chi sostiene l’alimentazione a base di carne ha paura, pudore o vergogna ad utilizzare le giuste espressioni linguistiche, le parole esatte per descrivere, i termini appropriati per sostenere la propria tesi? Da che cosa si proteggono? Che cosa non si vuole ammettere a sé stessi e davanti agli altri?
Le parole sono proprio macchine esatte, gentilissimi, inchiodano ognuno alle proprie responsabilità, anche morali