Sono passati quasi dieci anni da quando il 5 agosto del 2013 il primo burger in vitro, creato dagli scienziati della Maastricht University in Olanda, venne cucinato e mangiato durante una dimostrazione per la stampa a Londra. Ora la start-up FoodTech israeliana BioBetter Ltd segna un nuovo traguardo per la produzione della carne coltivata in laboratorio, che ancora stenta a superare due grandi ostacoli: il medium animale di coltura e la produzione in scala. La soluzione? Si troverebbe nelle piante di tabacco.
I problemi della carne sintetica
Quello della carne coltivata, una delle soluzioni avanzate per far fronte all’impatto della alimentazione su animali e ambiente, è un tema piuttosto dibattuto da anni. Con l’obiettivo di trovare una alternativa alla produzione intensiva di carne, che la FAO stima aumentare del 14% entro il 2030 per far fronte alla richiesta della popolazione, la carne colturale è composta da cellule animali prelevate da animali vivi, fatte moltiplicare in apposite strutture (bioreattori) in medium che ne permettano la crescita e poi raccolte e consumate sotto forma di hamburger o altri prodotti simili.
Un primo problema però si trova proprio in questo processo. Infatti il protocollo, in alcuni casi, prevede l’uso di un liquido di coltura di origine animale: il siero fetale bovino. In tal senso la carne resta comunque legata ad un processo di sfruttamento animale davvero cruento. Il secondo problema, strettamente connesso al precedente, è di natura economica. Muovendo i primi passi sul mercato a Tel a Viv nel 2020 è nato il primo ristorante a base di pollo sintetico mentre a Singapore nel 2021 la Singapore Food Agency ha dato il via alla vendita alla carne coltivata “Good Meat” prodotta dall’azienda Eat Just.
Tuttavia la carne in vitro stenta a decollare per gli ingenti costi che lo rendono un prodotto elitario, sia in fase di produzione che di consumo. Basti pensare che al momento un solo burger può costare fino a 10$ come ha dichiarato Peter Verstrate, CEO della start up Mosa Meat. La start-up FoodTech, BioBetter dunque con la sua scoperta vuole ridurre significativamente il costo della carne coltivata, farla avanzare rapidamente nel mercato rendendola accessibile proponendo un medium green: la pianta di tabacco.
Pianta di tabacco al posto delle cellule animali
BioBetter è stata fondata dal Professor Oded Shoseyouv, un imprenditore e ricercatore presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, da Dana Yarden esperta di business biotecnologico e da Avi Tzur, uno dei primi investitori. Dal momento in cui le start-up di carne coltivata continuano a scontrarsi con l’insostenibilità del fattore economico, sviluppare un sistema di produzione in larga scala per renderla accessibile sul mercato di massa si è rivelata essere una interessante opportunità. Iniziano così a nascere idee diverse che possano essere soluzioni green e totalmente animal-free per la carne coltivata. E BioBetter propone ora la sua.
La carne sintetica derivata dalle cellule infatti richiede un mezzo di coltura composto da un mix di aminoacidi, sostanze nutritive e, soprattutto, fattori di crescita (GF) senza i quali le cellule non possono moltiplicarsi. Attualmente, tali medium sono costosi a causa della complessità della produzione e restano di derivazione animale. Ad esempio, l’insulina e la transferrina come fattori di crescita vengono raccolte dal bestiame, rendendo così difficile ottenerle in grandi quantità. Alcune soluzioni sono state sperimentate, come la fermentazione di lieviti o batteri, ma questi metodi richiedono strutture costose e anche il processo di purificazione risulta complicato e dispendioso. “Il Good Food Institutes ha stabilito che è necessaria una riduzione di circa 100 volte dei costi di insulina e transferrina per rendere la carne coltivata sostenibile economicamente” ha spiegato Dana Yardenco, “Si stima che i fattori di crescita e i mezzi di coltura cellulare possano costituire dal 55 al 95% del costo marginale nella produzione di alimenti a base cellulare”.
BioBetter ha trovato una soluzione nelle piante di tabacco, trasformandole all’interno di bioreattori per la produzione in larga scala delle proteine. In questo modo si andrebbe a utilizzare solo energia rinnovabile e a trattenere la CO2. Le loro piantagioni sono in pieno campo e consentono una produzione rapida, efficiente e in linea con le esigenze del mercato. “Ci sono molteplici vantaggi nell’usare Nicotiana tabacum come vettore resistente per la produzione di GF di origine non animale”, spiega Amit Yaari, CEO di BioBetter. “Si tratta di una produzione importante che non avrebbe posto nella catena alimentare e nei mangimi a causa del suo sapore estremamente amaro e del contenuto di alcaloidi. Infatti tenendo conto della tendenza globale a ridurre il fumo di tabacco, per i coltivatori potrebbe il tabacco a lungo andare potrebbe diventare obsoleto, e in questo modo troverebbe un nuovo utilizzo”.
Considerando poi che le piante di tabacco possono raggiungere fino a quattro cicli di crescita all’anno ed essere raccolte tutto l’anno, consentono una produzione notevole per metro quadrato di spazio coltivabile. “BioBetter sta sperimentando una nuova piattaforma di espressione proteica per soddisfare la domanda in rapida crescita di proteine complesse ricombinanti”, osserva Shoseyov. “La nostra tecnologia GF consentirà la produzione di GF senza utilizzare animali su una scala di migliaia di tonnellate all’anno e al costo di 1 dollaro USA al grammo. Questo renderà superabile uno dei più grandi scogli nell’avanzamento della carne coltivata verso la produzione di massa”.
La start-up ad oggi ha già raccolto 5 milioni di dollari da investitori privati, tra cui Institutional VC e Alpha Capital Anstalt. La società partecipa al programma Israel Innovation Authority e al Good Food Institute, che aiuta anche a sostenere il finanziamento dell’azienda.
Anche in Italia si lavora, dal 2021
Anche nei laboratori del Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrativa dall’Università di Trento, si sta lavorando alla carne in vitro proponendo una soluzione non animale al liquido fetale bovino. “Puntiamo al 100% animal free e a utilizzare tecniche non invasive per gli animali”, ha spiegato Stefano Biressi a Vegolosi MAG mensile, biologo molecolare dell’Università di Trento. Con lui ci sono il professor Luciano Conti del Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata, Giulia Fioravanti, il cui dottorato di ricerca si basa proprio sulla carne in vitro, e Lisa Ceroni, studentessa e tirocinante in Nutrizione e Innovazione in ambito alimentare. La start-up italiana si chiama BrunoCell, è nata nei primi mesi del 2021 ed è interamente dedicata alla carne colturale con lo stesso obiettivo di rendere la carne sintetica accessibile a tutti e di eliminare il mezzo animale: “Un singolo prelievo di sangue- ha dichiarato il professor Conti – è sufficiente, le tecniche non sono invasive per gli animali. Lavoriamo con cellule pluripotenti e per far crescere queste cellule e farle diventare cellule muscolari non useremo medium animali bensì di sintesi”.
L’idea di una carne coltivata prodotta in larga scala quindi esiste, ma per ora resta ancora lontana nel tempo: “Il primo punto dolente è la sostenibilità economica, servono investimenti in questo settore; il secondo è creare delle cellule la cui capacità replicativa possa reggere a una produzione di carattere industriale, passaggio per nulla scontato; terzo, cercare e individuare sostituti vegetali che, allo stesso modo sempre su scala più ampia, possano servire da terreno di coltura cellulare; infine, il tema non certo secondario del sapore del prodotto finale». Che la start-up BioBetter abbia trovato davvero la soluzione definitiva?