Netflix nel 2017 le aveva dedicato un’intera puntata-documentario nella terza stagione del programma Chef’s table, e ora la monaca buddhista sudcoreana Jeong Kwan è stata premiata con l’Icon Award dei 50 Best Restaurants Asia per l’edizione 2022, premio che le riconosce l’incredibile impatto che ha avuto sulla scena gastronomica asiatica e mondiale. “Sono estremamente onorata”, ha detto quando ha saputo del riconoscimento:“Sono una monaca, non una chef esperta. Non ho un ricettario o un menu fisso. Ma sono sempre felice di cucinare per gli altri e di condividere l’energia positiva attraverso il cibo”.
La ricerca della libertà e l’arrivo al Tempio
Originaria della città di Yeongju, quinta di sette figli, ha vissuto fino all’età dell’adolescenza con la sua famiglia gestendo una piccola fattoria. A soli sei anni, dopo aver osservato a lungo la madre cucinare, si rende conto di amare la gastronomia che da quel momento entra per sempre nella sua vita. Tutto cambia però quando a 17 anni proprio colei che le aveva insegnato l’arte culinaria viene a mancare improvvisamente e così, un giorno, lascia la sua casa. È il 1974 e Jeong, vagando per i boschi, arriva al tempio di Baegyangsa che non lascerà più. Nasce in lei la necessità di vivere da sola, libera, di cercare un’illuminazione che le possa cambiare la vita. Inizia così il suo percorso come monaca buddhista per vivere pienamente questa filosofia e condividerne anche la dieta vegetariana.
Una cucina senza ego
Stabilita lì Jeong Kwan ha imparato nel tempo che una cucina a base vegetale rispecchia davvero le pratiche meditative basandosi su lentezza, attenzione e concentrazione. Infatti il segreto dei suoi piatti così saporiti e gustosi senza l’utilizzo di carne e derivati animali, risiede proprio nel tempo. Applicare processi lenti, basati su tecniche in uso da secoli come la fermentazione, che permetta ai gusti di trasformarsi in qualcosa di inedito e muoversi di pari passo con i tempi della natura è la vera essenza della sua arte. Il suo orto è una giungla, non ci sono recinzioni e ogni tanto qualche animale selvatico le ruba qualcosa, ma non lo percepisce come un dramma. La sua è una coltivazione che cresce rigogliosa perché assorbe l’amore e la pazienza di chi la coltiva.
Oggi Jeong, dopo aver tenuto lezioni di cucina vegetariana al College of Culture and Tourism dell’Università di Jeonju, non gestisce ristoranti ma cucina (e insegna) per gli altri monaci e per tutti coloro che le fanno visita. Il suo intento infatti non è tanto di insegnare a qualcuno come cucinare, quanto piuttosto diffondere tra le nuove generazioni la comprensione del fatto che una cucina salutare è un motivo di unione e condivisione per abitare insieme il mondo in armonia.
Il cibo che prepara viene definito “cibo del tempio” da tutti quelli che abitano nei dintorni. E a differenza della cucina laica, la nostra, che si basa sull’idea di conferire al corpo un’energia dinamica, il cibo del tempio vuole mantenere la mente in uno stato di calma e equilibrio. Nella sua cucina a base vegetale 5 sono gli ingredienti da evitare, detti “Oshinchae”: aglio, cipolla, scalogno, erba cipollina e porro. Infatti il tipo di energia in eccesso che portano, non permette al monaco di raggiungere uno stato di pace, rendendo la meditazione impraticabile.
Nonostante questo le sue ricette sono saporite, colorate e leggere. Si utilizzano spesso la curcuma, il pepe di sichuan, il pepe marrone e lo shiso. I piatti si insaporiscono solo con il sale, pasta di soia, salsa di soia e salsa chili, ingredienti che svegliano la mente e la consapevolezza perché il cibo del tempio ha un profondo collegamento con l’energia spirituale. Il suo cibo dunque si può ritenere uno dei pochi al mondo a non avere ego, per questo definirla chef sarebbe un errore:“Creatività e ego si oppongono. Solo se ci liberiamo di competizione e gelosia, la nostra creatività può aprirsi a infinite possibilità. Come l’acqua zampilla dalle fontane, anche la creatività può spuntare in qualsiasi momento”.
Per questo motivo per Jeong Kwan cucinare significa essere libera di creare, libera di esprimersi, libera di esistere. E chi sperimenta la sua cucina, ne assapora ogni sfaccettatura.