Abbiamo intervistato Jo-Anne McArthur, fotogiornalista canadese e attivista per i diritti degli animali per conoscere meglio la sua scelta, la sua prosfessione e le sue idee.
Cosa significa “veganismo” per te?
Significa guardare al di là dei nostri bisogni e desideri personali e considerare come le nostre azioni influenzano gli altri. Significa fare sempre del nostro meglio per vivere in modo tale da non causare danno alle persone, agli animali e all’ambiente. Potrebbe sembrare un obiettivo arduo, o difficile da raggiungere tutti i giorni, ma vivere in modo compassionevole è una cosa bella, che dà gioia. Veganismo significa che vivo in linea con le mie convinzioni etiche per cagionare il minor danno possibile agli animali e alla Terra.
Perché è importante per le persone sapere come vengono trattati gli animali?
Come la dr. Jane Goodall disse in una celebre citazione: “Only if we understand can we care, and only if we care will we help” (Solo se comprendiamo ci può importare, e solo se ci importa aiuteremo, ndr). Un ingrediente chiave della comprensione è vedere. Il mio lavoro è mostrare, in modo che vedendo si possa capire, interessarsi e agire.
Perché pensi che il linguaggio della fotografia sia migliore per raccontare una storia o inviare un messaggio?
Credo sia una parte importante del messaggio, non necessariamente la più importante. Ciò che gli animali subiscono dietro porte chiuse è stato nascosto per troppo tempo; per questo le immagini, ottenute con qualsiasi mezzo, esprimono la verità. Le immagini possono raccontare una storia in un istante. Le parole no. Le foto possono colpire al cuore immediatamente mentre il testo non può raggiungere lo stesso scopo così in fretta. Per questo le foto sono uno strumento essenziale per spingere le persone a vedere per poi agire.
Ti è mai capitata l’opportunità di liberare un animale da una situazione di difficoltà in cui era o hai mai cercato di farlo?
Certamente. Ma l’ho lasciato dov’era. Dovete capire che io ho incontrato centinaia di migliaia di animali negli anni. Non avrei mai potuto aiutarli tutti. Mi trovo spesso in paesi stranieri e per questo non posso intervenire neanche in minima parte, dato che mi muove continuamente da un posto all’altro ogni giorno. Il mio compito è raccontare ed educare, ed è questo il mio modo di promuovere la liberazione animale.
Come vieni a conoscenza delle situazioni di abuso e come ti prepari agli scatti?
Sono ovunque, in ogni paese; non devo mai guardare troppo lontano. Mi preparo lavorando in collaborazione con organizzazioni, altri investigatori e squadre di sicurezza. E’ un lavoro struggente, logorante che non mi consente di vivere una vita regolare. Vivo per le strade, sempre con la valigia in mano, non vedo spesso famiglia e amici anche se mi sembra di avere tante famiglie in giro per il mondo: è il tipo di lavoro che ti fa stringere forti legami con le altre persone. Ma io vivo per il mio lavoro e anche se a fatica riesco a fare qualcosa di diverso, lo adoro. Sono felice di poterlo fare e avere una vita folle. Ciò che accade a milioni di animali ogni singolo giorno è un’emergenza assoluta, così io lavoro per porre fine a questo, ogni singolo giorno. Dedico anche del tempo a raccogliere fondi e trovare denaro che finanzi i miei viaggi e miei reportage: potete immaginare quanto sia dispendioso come lavoro. Straordinariamente le persone stanno supportando We Animals tramite Patreon (una piattaforma di crowdfunding, ndr) e questo mi consente di coprire tutti i costi e collaborare con le persone comuni per diffondere il più possibile il progetto “We Animals”.
Come scegli di raccontare e denunciare una certa situazione piuttosto che un’altra?
Beh purtroppo ce ne sono un’infinità di queste situazioni, che siano gli allevamenti intensivi, i combattimenti fra tori, gli animali rinchiusi nei laboratori, negli zoo, nei rodeo, negli acquari, quelli destinati all’industria della pelliccia e così via. E’ un dramma senza fine e per questo cerco di focalizzarmi sulla più ampia varietà possibile collaborando con le associazioni che diffondono efficacemente le immagini e sanno usare i mezzi di comunicazione. Soprattutto mi occupo degli animali destinati a diventare cibo, ma cerco sempre di andare dove c’è bisogno. Mi concentro anche sui cambiamenti e su chi li promuove: ci sono tantissimi eventi positivi che accadono oggi nel mondo. Il mio nuovo progetto (Unbound Project) è infatti dedicato alle donne pioniere che aiutano gli animali in giro per il mondo. Parlando invece ai giovani (con i servizi di Humane Education Program) cerco di avvicinarli al mondo degli animali e alla necessità di rispettarli e avere cura di loro.