La notizia della morte di Harambe, il popolare gorilla dello zoo di Cincinnati, che è stato ucciso per proteggere un bambino scivolato nel suo recinto, ha fatto il giro del mondo e posto molte persone di fronte a interrogativi importanti: era davvero necessario uccidere il gorilla? Perché gli animali sono tenuti ancora chiusi negli zoo?
In una lunga intervista riportata dal sito di informazione dell’etologa Jane Goodall, Azzedine Downes, Presidente del Fondo Internazionale per il Benessere Animale (IFAW) e Jane Goodall, due istituzioni nel settore interpellati più volte dai media in queste settimane per un autorevole opinione sul drammatico evento, raccolgono le più frequenti domande poste dall’opinione pubblica in merito all’episodio di Harambe nello specifico e al senso della vita animale in cattività più in generale.
Viene chiarito, come già più volte, che il danno che un animale di 450 chili, anche involontariamente o con buone intenzioni, avrebbe potuto provocare su un bambino così piccolo sarebbe stato molto grave. Del resto era difficile anche per i ricercatori e i medici – che hanno creato con Harambe un rapporto di fiducia e profonda conoscenza – capire se il suo comportamento fosse amichevole o meno, da una così ampia distanza e in un tempo così ridotto. Sicuramente il gorilla era agitato per via dell’inaspettato arrivo del bambino e le grida dei turisti che hanno assistito allarmati alla scena; una sedazione era esclusa e una decisione rapida doveva essere presa: è il prezzo da pagare quando si tiene la vita selvaggia in gabbia, il rischio per la sicurezza degli animali e del pubblico è altissimo. E’ una vicinanza troppo ristretta e troppo innaturale che, nonostante tutte le misure di prevenzione e sicurezza del caso, non potrà mai scongiurare al 100% il verificarsi di incidenti.
Downes specifica inoltre che i casi di persone ferite in zoo importanti certificati dall’AZA (Associazione degli zoo e degli Acquari) negli Stati Uniti sono piuttosto limitati se comparati al numero di incidenti spesso mortali a danni di cittadini statunitensi che tengono in casa o nei cortili animali esotici come fossero cani e gatti. Intervenire in questi casi è difficile perché le forze dell’ordine sono assolutamente impreparate ad affrontare tali emergenze e le decisioni prese sono spesso drastiche.
Ma quindi, qual è l’opinione di Jane Goodall sugli zoo? Prima di tutto – dice la Goodall – è importante per le persone sapere che non tutte le istituzioni che si definiscono zoo o parchi faunistici adottano lo stesso protocollo di cure e trattamento degli animali che ospitano. Se una struttura garantisce ai suoi animali lo spazio vitale di cui hanno bisogno, un gruppo sociale adeguato con cui interagire e attività da svolgere che arricchiscono e rispettano la loro natura, allora queste specie animali possono sperare in una vita decorosa o addirittura buona.
Detto questo, l’uomo sta ampliando sempre di più le sue conoscenze sul mondo animale, sulle sue relazioni sociali e familiari e sulla vita libera in Natura. Più conosciamo l’intelligenza e il lato emotivo degli altri esseri viventi che condividono con noi il pianeta più diventa difficile giustificare la cattività. Attraverso internet, i libri, le foto, i film e i documentari, più e più persone possono provare l’esperienza di vedere da vicino la Natura senza privare gli animali della loro libertà e del loro habitat.
Del resto è importante per un bambino – e anche per un adulto – essere in presenza di un animale vivo, che respira, sapere che odore ha e guardarlo negli occhi: è un’esperienza che può cambiare la vita. Dobbiamo capire nel contempo che spesso la vita nella Natura, in molte parti del mondo, oggi non è garanzia di una vita felice per gli animali. Penso al caso dei primati e delle grandi scimmie. La frammentazione e il degrado del loro habitat insieme con la caccia di frodo sono le due più grandi minacce agli scimpanzé che vivono liberi, per esempio. Le madri vengono uccise per la loro carne o spesso solo per privarle dei piccoli che finiscono venduti al mercato nero per diventare alternative agli animali domestici “classici”.
Alla domanda sul cosa sia possibile fare per aiutare le specie animali e la diversità Jane Goodall risponde che ogni persona, ogni giorno, produce un impatto sul mondo. Tutto sta nel capire quale tipo di conseguenze e di impatto vogliono provocare. “Siamo tutti interconnessi l’uno con l’altro e con la Natura e quando chiediamo a noi stessi quanto una decisione possa influire su altri, animali o umani che siano, e scegliamo quella che ha un effetto meno invasivo per l’ambiente, allora possiamo tutti insieme fare una grande differenza per migliorare il mondo”.
IFAW e JGI (Jane Goodall Institute) e altre organizzazioni come queste lavorano con le comunità locali sul loro territorio (Congo, Uganda, Tanzania, Rwanda, Burundi e Senegal) per proteggere e conservare la vita selvatica e le grandi scimmie: collaborando con le autorità per combattere il traffico illegale di animali, insegnando ai bambini, nelle scuole, l’importanza di rispettare la Natura e le specie che la abitano e agli adulti che non occorre devastare le foreste o cacciare di frodo per fare denaro e sopravvivere.
Serena Porchera