Nel novembre 2015 la conferma in un video della procura di Brescia: il macello Italcarni di Ghedi, in provincia di Brescia, torturava gli animali destinati alla macellazione attraverso pratiche totalmente illegali, scatenando il cosiddetto scandalo delle “mucche a terra”. Inoltre le analisi effettuate su campioni di carne prelevati al macello sono risultati contenere una carica batterica di 50 volte superiore al limite imposto dalla legge. Da lì la bufera mediatica che ne ha scatenata subito dopo anche una giudiziaria: Italcarni ha dovuto sospendere la propria attività. Ma come riporta il Giornale di Brescia, ancora prima che il processo di primo grado possa dirsi concluso, Italcarni ha già riaperto i battenti con un altro nome: ora si chiama A.D.M Carni.
La condanne
La nuova società risulta essere nelle mani delle stesse persone, eccezione fatta per Federico Osio, amministratore di Italcarni, che pare chiederà il patteggiamento a 2 anni e sei mesi di reclusione: il processo sta comunque procedendo e la sentenza dovrebbe arrivare entro gennaio 2017. Oltre ad Osio, sono stati condannati anche il tecnico incaricato di eseguire i controlli sui campioni di carne e i veterinari Asl che avevano il compito di controllare la liceità delle operazioni portate avanti dall’azienda: 5 anni per il dottor Gian Antonio Barbi e 5 anni e sei mesi per il dottor Mario Pavesi.
La “nuova storia” di Ghedi
La cosa sorprendente è che, nonostante la ferma condanna a Italcarni, le stesse persone abbiano potuto riaprire la medesima attività. Grazie al contributo dell’avvocato Alessandro Ricciuti, che che da alcuni anni si è specializzato nella tutela legale degli animali sappiamo che “gli allevamenti intensivi seguono delle logiche industriali e di produzione in serie che consentono di abbattere i costi e di abbassare il valore di ogni singolo animale sul mercato”. Questo significa che i maltrattamenti subiti dagli animali nel macello di Ghedi sono pressoché la norma. E dal momento che “le ispezioni negli allevamenti intensivi sono a campione e in ogni caso le sanzioni sono spesso inadeguate – continua l’avvocato Riucciuti – alcuni allevatori potrebbero trovare più conveniente non rispettare la normativa sul benessere animale e rischiare quindi le eventuali multe, piuttosto che investire nell’adeguamento delle strutture”. C’è da chiedersi quindi se la nuova insegna A.D.M Carni rispetterà gli standard minimi previsti dalla legge o se, invece, seguirà di nuovo le regole della logica industriale odierna.