Capelli rossi, sorriso contagioso e una cultura infinita sul mondo vegetale: lei è Eleonora Matarrese, proprietaria di Pikniq, il primo ristorante italiano che serve esclusivamente ricette “veg” preparate con erbe selvatiche e autrice di “La cucina del bosco“, blog che si occupa di folklore e cucina naturale. Abbiamo raggiunto Eleonora per farle qualche domanda sul mondo delle erbe spontanee e carpire qualcuno dei suoi segreti in cucina.
Come e quando è nata la tua passione per la cucina vegetariana e vegana a base di cibo selvatico?
Per me è il modo in cui sono cresciuta, abituata sin da piccola a una cucina di campagna con ricette semplici, a base di ciò che la natura offre spontaneamente. Mia nonna mi ha insegnato a riconoscere e utilizzare il cibo selvatico e poi, crescendo, ho approfondito e sviluppato in chiave vegana ricette e proposte alternative.
Quali sono le erbe selvatiche irrinunciabili e dove si possono trovare?
Un’erba irrinunciabile è il tarassaco, perché è la più facile da riconoscere e quindi non comporta la possibilità di essere confusa con sosia tossici. Il tarassaco, tra l’altro, può essere utilizzato nella sua interezza: le foglie in primavera per depurare l’organismo dopo l’inverno; i boccioli e i fiori per tante ricette stuzzicanti – il cosiddetto “miele vegano” è a base di petali di fiori di tarassaco, ad esempio -; le radici dalla fine dell’autunno alla fine dell’inverno. Un altro tipo di cibo selvatico che consiglio sempre, soprattutto ai vegani, sono le Pinacee: l’albero del pino è riconoscibile senza alcuna difficoltà, i suoi aghi hanno una percentuale di vitamina C di molto superiore a quella degli agrumi e sono versatili, possono essere utilizzati in molte ricette sia dolci che salate.
Le erbe da usare crude e quelle che invece devono essere tassativamente cucinate?
La maggior parte del cibo selvatico andrebbe cotto per cautela, o almeno essiccato. Ci sono infatti degli oli essenziali e dei componenti (ossalati, terpeni, tuioni) che si modificano o addirittura possono scomparire con la cottura. Tuttavia, non si deve pensare a una bollitura a lungo: nel caso di erbe selvatiche fresche, infatti, è sufficiente porle in acqua bollente per neanche un minuto di modo da farle “appassire”… e poi metterle in una ciotola con acqua ghiacciata per far sì che conservino il loro colore e non si ossidino. Diversamente, bollite a lungo – ma questo vale per tutte le verdure – perderebbero tutti i loro principi nutritivi. Alcuni tipi di cibo selvatico, come i turioni (tamaro, vitalba, pungitopo, che è pianta protetta in molte regioni italiane) vanno obbligatoriamente cotti e trattati perché a rischio di una forte tossicità. I licheni e i muschi vanno bolliti a più riprese per pulirli e eliminare sostanze nocive. Le ghiande, infine, vanno bollite a lungo per eliminare i tannini.
È naturale che nelle persone predisposte ci possano essere dei rischi. Basti pensare alla parietaria, che è una normalissima erba commestibile ma che in molte persone scatena crisi allergiche. Bisogna però sottolineare che tra il cibo selvatico si può trovare qualcosa che aiuta a minimizzare le crisi allergiche: la camomilla, il finocchietto, i vari tipi di aglio selvatico, ma soprattutto l’ortica, che contiene quercitina in grandi quantità: un antistaminico naturale ad azione rapida. Non va utilizzata in gravidanza e bisogna come sempre fare attenzione alle interazioni con eventuali altri farmaci (ma questo è vero anche per il cibo non selvatico), ma un decotto di foglie secche aiuta.
Quali sono le proprietà benefiche delle erbe spontanee?
Senza dubbio le erbe selvatiche, le bacche, un tipo di corteccia o un’alga raccolte in un luogo il più possibile incontaminato – per abbattere il rischio di inquinanti e di antiparassitari – nel periodo giusto della loro crescita e della massima disponibilità nutritiva, possono essere considerate un integratore naturale, un ingrediente permette di variare la nostra dieta a livello di gusto, facendoci del bene. Esiste un periodo più adatto di un altro per raccogliere il cibo selvatico?
Direi che potremmo definire un “calendario per la raccolta”, che ci apparirebbe spontaneo se guardassimo attentamente Madre Natura: foglioline, teneri germogli e turioni in primavera. Poi i boccioli, e i fiori. Subito dopo, con l’arrivo dell’estate, i frutti, le bacche, i semi. L’autunno porta le ultime bacche, i primi frutti a guscio. Dalla fine dell’autunno alla fine dell’inverno le radici.
Più che una ricetta, un consiglio: preparate un normale impasto per il pane, a piacimento, e prima di procedere ad infornare aggiungete aghi di pino odi abete, oppure una o più erbe selvatiche essiccate o anche fresche. Potreste anche scegliere, al posto della classica pagnotta, di preparare dei cracker o dei grissini, più stuzzicanti. Invece una ricetta dolce che piace molto anche ai bambini sono i toffee di mela cotogna: tra poco si potranno raccogliere le mele cotogne selvatiche; basta tagliarle a tocchetti togliendo la buccia e avendo cura di metterle a bagno in acqua e succo di limone per non farle ossidare. Bisogna poi procedere a cottura come una normale marmellata aggiungendo un dolcificante a piacere. Una volta pronta la composta (che sarà una marmellata un po’ più compatta) basta stenderla sulla teglia del forno e poi farla raffreddare. Va poi tagliata a cubetti, come se fossero delle gelée, e poi rivestita di aghi di pino tritati sottili. È un ottimo antinfluenzale, oltre che una coccola per l’inverno nei momenti di malinconia.
Erbe selvatiche: in cucina ma non solo, giusto?
L’utilizzo del cibo selvatico in cucina in Italia riprende in molti casi la tradizione, e anche per questo è un bene non far scomparire questa cultura: in Puglia ancor oggi si utilizzano fino a venti tipi di erba selvatica diversi per realizzare il piatto noto come “cicoriette” o “cicorielle”. Ma il cibo selvatico si presta naturalmente a altri usi: basti pensare alla produzione casalinga di saponi, di cosmetici, di unguenti. Uno per tutti è l’oleolito di iperico (Hypericum perforatum) utilizzato contro scottature e problemi della pelle, ma anche per massaggi e frizioni.
Quali sono le raccomandazioni da seguire per raccogliere le erbe selvatiche?
Innanzi tutto durante la raccolta bisogna fare attenzione al luogo, che dev’essere il più lontano possibile da fonti di inquinamento (inclusi gli alpeggi). Poi, bisogna raccogliere solo piante che si è sicuri al 100% di conoscere: in caso di dubbio è meglio fare una fotografia e ricerche successive; non bisogna mai improvvisarsi raccoglitori e neanche basarsi solo sui tanti manuali presenti in rete, è meglio un corso con chi ha cognizione di causa e può insegnarci a riconoscere le piante sicure. In particolare consiglio di prestare molta attenzione alle piante della famiglia delle Ombrellifere che comprende carota, prezzemolo, sedano, finocchio ma anche la Cicuta, che è mortale. Un’altra regola da seguire è la “moderazione”: anche se siamo di fronte a una pianta ben presente sul territorio, non bisongna esagerare e raccoglierne solo alcuni esemplari. è bene lasciarne per gli animali, per Madre Natura affinché possa preservare la specie e per i raccoglitori dopo di noi.
E se qualcuno tra noi, particolarmente pigro, volesse comprarle?
Il cibo selvatico non si vende. Si raccoglie. Certo, esistono alcuni raccoglitori che lo forniscono ai ristoratori, ma a mio avviso la gioia più bella è quella di ricominciare a vivere la Natura e ritrovare qualcosa di perduto. Raccogliere è un momento che ci fa ritrovare noi stessi, e fa anche bene alla salute. In più, si torna a casa con qualcosa da mangiare o per la cura di noi stessi.
La Salvia pratensis o, in piccolo, altre piante della famiglia delle Lamiaceae, hanno un fiore che per essere impollinato “attende” il bombo che, goffoma tenero, si poggia ed entra al suo interno, uscendone tutto pieno di polline. Poi mi viene da pensare all’Oxalys acetosella che… ci avvisa se è in arrivo un temporale! Infatti le sue foglie a forma di cuore – da non confondere con il trifoglio – si chiudono quando è in arrivo il brutto tempo.
Infine, c’è un motivo per cui vegetariani e vegani dovrebbero preferire la “cucina selvatica” a quella “tradizionale”?
I vegetariani e ancor più i vegani dovrebbero avvicinarsi alla cucina selvatica perché è molto ricca di nutrienti, per di più facilmente assimilabili: l’ortica, ad esempio, è ricca di ferro. Ugualmente l’acetosa, l’acetosella e gli aghi di pino e di abete sono molto ricchi di vitamina C, che aiuta a fissare il ferro e altri minerali. Infine, come non pensare alle immense possibilità di cucinare qualcosa di nuovo, diverso, sfizioso, sfociando nel crudismo o mischiando stili e rivisitando ricette?