Negli ultimi 20 anni l’inquinamento dei mari e degli oceani dovuto ai rifiuti plastici è aumentato in maniera vertiginosa: lo dimostra uno studio pubblicato di recente sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, primo nel suo genere e per questo di importanza storica per l’arco temporale che ricopre nella raccolta delle informazioni. Sono stati infatti usati i dati raccolti dal 1957 al 2016 dal Continuous Plankton Recorder (CPR), uno dei programmi di monitoraggio biologico marino più longevi al mondo, attivo fin dal 1931 – rimorchiato dalla poppa delle navi mercantili che scelgono di aderire al progetto – per catturare campioni di plancton attraverso i quali valutare lo stato di “salute” di mari e oceani.
In particolare, gli studiosi hanno valutato la presenza di microplastiche (rilevate insieme al plancton) e macroplastiche (impigliate sul corpo del CPR) su oltre 6,5 milioni di miglia nautiche e i risultati sono allarmanti. Per quanto riguarda le prime, lo studio ne indica un aumento significativo dagli anni ’60/’70 agli anni ’80/’90, ma da quel periodo in poi la quantità di questi materiali dispersa nei mari e negli oceani non sembra essere aumentata. Un discorso diverso, invece, va fatto per le macroplastiche – ovvero qualsiasi rifiuto o detrito in materiale plastico, tristemente noti per essere ormai sempre più presenti anche sulle spiagge – il cui quantitativo, come dimostra anche la grafica qui sotto, è aumentato vertiginosamente dal 2000 a oggi, in accordo con l’aumento della produzione di plastica registrato nello stesso periodo.
I rifiuti più comuni sono risultati essere le reti da pesca, mentre i mari sono risultati più inquinati vicino alle coste e lungo le rotte più trafficate.
Le reti da pesca rappresentano da tempo una delle grandi piaghe dei nostri mari, tanto che secondo un rapporto delle Nazioni Unite rappresentano addirittura il 10% di tutti i rifiuti presenti in mare. Si tratta di oggetti molto pericolosi per la fauna marina (intrappolando non solo i pesci, ma anche le tartarughe e gli uccelli e i mammiferi marini, portandoli alla morte) ma anche per gli ecosistemi, che risultano alterati dalla loro presenza e perfino per la navigazione, dal momento che possono facilmente causare incidenti in mare e danni alle imbarcazioni. Anche se nella maggior parte dei casi non sono oggetti deliberatamente abbandonati ma piuttosto persi durante le tempeste o trasportati via dalle correnti, la consolazione rimane magra e l’allarme decisamente da non sottovalutare.
“Con la popolazione globale in continuo aumento, anche i rifiuti di plastica continueranno ad aumentare – dichiarano gli esperti- e per questo c’è bisogno di rieducazione, di continue ricerche e campagne di sensibilizzazione, al fine di guidare l’azione dei singoli e quella sul larga scala nella gestione dei rifiuti e nella progettazione dei prodotti realizzati con questo materiale”.
Cosa possiamo fare noi
Al di là delle azioni governative – come la decisione dell’Europa di bandire la plastica usa e getta entro il 2025 – ognuno di noi può dare il proprio contributo alla causa: è importante fare acquisti con consapevolezza, dicendo “no” alla plastica nella nostra vita quotidiana, in cucina e in bagno – anche grazie al contributo di libri che ci spiegano come fare – per dire addio a uno dei materiali più inquinanti mai realizzati dall’uomo.