Non si tratta proprio solo di un’ipotesi. L’idea di poter modificare geneticamente gli animali “da allevamento” per fare in modo che possano essere “lavorati” meglio ai fini dell’alimentazione umana, è già una realtà. Andiamo con ordine.
Editing genetico
Quello di cui stiamo parlando si chiama “editing genetico” e ad occuparsene sono alcune aziende piene di ingegneri, biologi, chimici e genetisti; fra di esse una, la Recombinetics è già all’opera da un bel po’. Fondata nel 2008 nel Minnesota, lavora sullo studio della genetica di piante e animali “per garantire migliorie evidenti ma senza creare Ogm”. Cioè? Semplice: si lavora “riposizionando” geni e meccanismi naturalmente presenti negli esseri viventi senza incrociarli fra specie diverse e senza aspettare che possibili casualità facciano quello che è possibile fare subito.
Un esempio. Dan Carlson lavora a Acceligen la sezione di Recombinetics che studia e sviluppa l’editing genetico sugli animali. Dan viene da una famiglia americana tipo, come ha raccontato lui stesso: un padre allevatore e coltivatore, una mamma casalinga. “Vedevo ogni giorno mio padre che rischiava la vita circondato da decine di bovini che con le loro corna potevano fargli davvero del male”, i bovini, per natura usano la testa come strumento di difesa e di offesa.
Diventato adulto e abbandonate le orme paterne (o quasi), Dan è diventato un genetista e ha creato dei bovini a cui le corna non crescono più. Semplice.
Per farlo ha usato l’editing genetico e in questo modo ha risolto due problemi che erano sul tavolo: il primo, evitare la procedura della decornazione, pericolosa e dolorosa (per gli animali). Il secondo, quello di rischiare che gli animali si ferissero fra loro creando ulteriori spese mediche (ossia perdite economiche); inoltre, il padre sarebbe stato al sicuro. Il primo vitello naturalmente senza corna è nato nel 2015. Carlson non si è fermato e fra le mura della Acceligen sta lavorando con il suo team anche ad un maiale che non raggiunga mai la pubertà e che, perciò, non debba essere castrato: meno spese, meno dolore per gli animali, un prodotto finale migliore per il consumatore. Questa idea è stata valutata così interessante che lo scorso anno l’azienda ha anche ricevuto un premio di 500mila dollari dalla FAAR, la Foundation for Food and Agricultural Research.
Insomma, insieme alla carne in provetta che cresce partendo da cellule staminali e che potrebbe essere sugli scaffali dei supermercati statunitensi già a partire dal 2020, oltreoceano si sta lavorando anche su questo fronte.
Il pollo senza sentimenti
L’assunto di base è che la genetica potrebbe rendere gli animali sempre più facili da allevare e da uccidere, eliminando, mano a mano, tutti quegli attriti, anche di carattere etico, che separano l’uomo dalla costoletta. L’obiettivo di Recombinetics del resto, è quello di migliorare anche il “benessere animale”, espressione che ha a che vedere con il rendere le procedure di allevamento meno “faticose” per l’uomo ai fini del commercio e con il valutare la salute dell’animale affinché, con le sue malattie, non provochi danni all’uomo.
A tal proposito, nel marzo scorso, uno studente dell’università di Oxford, Jonathan Latimer, ha scritto un articolo che ha vinto un premio dedicato all’etica applicata. La sua tesi è che dando per scontato che gli allevamenti non smetteranno di esistere a breve e che la richiesta di carne aumenta, non è un male creare un “depotenziamento genetico” in modo che gli animali non soffrano più. Polli senza cervello, mucche senza il senso del dolore, tacchini senza coscienza non sarebbero, secondo Latimer, un “male in sé” perché la loro disabilità sarebbe riferita al contesto in cui vivono. Se in natura, infatti, le sensazioni di dolore servono all’animale per evitare guai (semplificando), negli allevamenti questo “sentire” non serve e quindi andrebbe eliminato. Secondo lo studente la vera crudeltà sarebbe, invece, lasciare agli animali le loro sensazioni.
A sintetizzare tutto questo in un’immagine, ci fu nel 2012, quasi come una premonizione, l’installazione di un altro studente, questa volta di architettura, André Ford. Nel suo “The Headless Chicken Solution” (nella foto in apertura), il ragazzo mostrava un futuro nel quale polli completamente incoscienti ma in salute, “vivevano” attaccati a macchine che ne garantivano lo sviluppo fino al raggiungimento del peso ideale ai fini della macellazione. Il pollo come macchina metabolica pura, nient’altro.
La scelta vegan esisterebbe lo stesso?
La questione è di enorme complessità e sorgono decine di domande: se alcuni animali verranno creati solo per essere macellati e senza patire dolore, quale sarà il nuovo confine animalista e vegano da tracciare fra il nostro stomaco e il nostro senso dell’etica e della giustizia? Avrà ancora senso scegliere di non mangiare animali avendo la certezza che la loro morte non ha causato loro la benché minima sofferenza? Infine: se il pollo senza cervello o il maiale-robot arriveranno prima del burger in provetta o di sostituti vegetali dalla forza commerciale universale, ci sarà ancora davvero spazio per l’evoluzione vegana del mercato e delle coscienze?
Ed infine, una certezza: a vincere su tutto sono sempre la gola e il denaro. Per non modificare abitudini alimentari, spesso poco salutari, e per non fare andare a gambe all’aria l’industria dell’allevamento e i suoi redditi, una parte della scienza sta cercando soluzioni facili per rendere meno agghiacciante la morte di miliardi di animali ogni anno sul nostro pianeta. Eppure basterebbe solo cambiare alimentazione, da subito.