Una recente ricerca dell’Università di Pisa pubblicata su Journal of Hazardous Materials ha analizzato l’impatto dell’ibuprofene, un comune antinfiammatorio, sulle angiosperme marine, piante fondamentali per gli ecosistemi costieri. Queste piante, infatti proteggono le coste dall’erosione, immagazzinano carbonio, producono ossigeno e offrono habitat per numerose specie animali.
Lo studio sull’ibuprofene
I ricercatori hanno esposto Cymodocea nodosa a concentrazioni di ibuprofene già rilevate attualmente nelle acque del Mediterraneo per 12 giorni. A livelli di 0,25 e 2,5 microgrammi per litro, l’ibuprofene ha causato stress ossidativo senza danni irreversibili. Tuttavia, a 25 microgrammi per litro, sono stati osservati danni alle membrane cellulari e all’apparato fotosintetico, compromettendo la resilienza della pianta agli stress ambientali. Con un consumo globale di ibuprofene che supera le 10.000 tonnellate annue e sistemi di trattamento delle acque reflue incapaci di rimuoverlo completamente, la contaminazione ambientale è destinata ad aumentare. Questo potrebbe aggravare la regressione delle praterie di angiosperme marine in molte aree costiere.
“Per ridurre il rischio di un ulteriore aggravamento del processo di regressione delle praterie di angiosperme marine in atto in molte aree costiere – spiega la professoressa Elena Balestri del dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano – sarà quindi necessario sviluppare nuove tecnologie in grado di ridurre l’immissione di ibuprofene e di altri farmaci negli habitat naturali, stabilire concentrazioni limite di questo contaminante nei corsi d’acqua e determinare le soglie di tolleranza degli organismi, non solo animali ma anche vegetali”.