Sarebbe potuto succedere in Italia? Chi lo sa. Nel frattempo negli Stati Uniti l’azienda italiana Save The Duck, guidata dall’italiano Nicolas Bargi, è stata premiata da PETA come migliore brand dell’anno. La storia di questo marchio, nato nel 1914 grazie al nonno di Nicolas, Foresto Bargi, è quella di una scommessa fatta di criteri non negoziabili che ha un nome: benefit corporation ossia il sistema attraverso il quale in un’azienda si decide di dare lo stesso peso a obiettivi economici e di impatto sociale e ambientale.
Il brand produce giacche invernali che non contengono piume d’oca (li potete vedere qui), ossia quelli che potrebbero essere definiti “piumini vegani”: leggeri, resistenti e di lusso, questi capi d’abbigliamento hanno mostrato come le alternative ad una moda ormai sorpassata ci sono e che le piume delle oche che vengono loro strappate a forza per poter finire in capi d’abbigliamento (ma anche di arredamento) possono, anzi devono, rimanere lì dove sono: sui corpi di questi animali.
PETA ha spiegato così la motivazione del premio: “Per aver espanso il mercato dell’outwear vegano di lusso in tutto il mondo ed aver risparmiato ad innumerevoli uccelli l’agonia di avere le loro piume strappate nella crudele industria dei piumini.” Bargi ha confermato che fin dall’inizio il suo obiettivo era diversificare l’offerta e seguire un intento preciso: trovare alternative all’uso della piuma d’oca nei capi d’abbigliamento: “Non capivo perché l’industria continuasse a usare le piume nelle giacche. Avevo una coscienza”. Un cambio di stile che è stata anche la salvezza dell’azienda di famiglia, entrata in crisi per moltissimi anni e risollevata da una scommessa. In un’intervista al giornale Millionaire, Bargi ha spiegato: “Nel 2012 i consumatori non si orientavano verso prodotti o business sostenibili. Nel 2017, il 30% dei clienti lo ha fatto. Sotto i 20 anni, questa scelta riguarda il 70% dei consumatori. In tutti i settori”. Una scelta di business ma anche di attitudine, di visione del futuro.
Non sono poche le aziende che hanno già messo un piede nel cruelty free, evitando si usare pelle animale, piume e pellicce: questi sono tra gli “ingredienti” più terribili se li pensiamo abbinati a qualcosa di assolutamente effimero come la moda e l’abbigliamento e spesso “stagionale”. Molti i marchi che stanno testando, lentamente, nuove strade come la decisione di eliminare le pellicce, o gli inserti di pelo nei capi o di lanciare, sperimentando, nuovi tessuti come quello tratto dal vino, quelli tratti dai cactus, oppure dall’ananas, o sfruttando le proprietà di funghi e filati tratti dalla plastica riciclata. Si chiama innovazione e va verso l’unico futuro possibile.